Come si realizza una barca in vetroresina
Nel corso della mia professione, ho incontrato un numero non ben identificato di esperti – o sedicenti tali – da cui ho ascoltato una serie di amenità sul mondo delle imbarcazioni e della natica da diporto in generale.
Poiché ho sempre ritenuto che per affrontare determinati argomenti fosse necessario disporre di sedi adeguate, non ho fornito spiegazioni esaustive quando i miei interlocutori – anche avvocati, commercialisti o, addirittura, ingegneri – mi sottoponevano un caso di presunta osmosi mentre prendevamo un caffè o nel bel mezzo di una cena fra amici.
Di contro, questo spazio mi auguro che possa servire come momento di approfondimento su alcune delle tematiche di riferimento sull’argomento che è croce e delizia del 15 % degli italiani: le barche.
In questo articolo, vorrei porre io stesso qualche quesito.
Quanti di coloro che posseggono un day-cruiser, un motoryacht, una barca a vela, un megayacht, un gozzo, un peschereccio, sanno come sia fatta la propria imbarcazione?
Sono sicuro che tutti sapranno se la propria barca è in legno, in plastica o in metallo. Ma quanti tipi di barche di legno esistono? Quelle di plastica sono tutte uguali? Quali sono le più resistenti?
Sulla scorta di queste domande, dunque, partiremo ad esaminare uno dei materiali più largamente diffusi nella costruzione delle imbarcazioni da diporto: la vetroresina.
VETRORESINA: MATERIALE COMPOSITO
La vetroresina, come molti già sapranno, è un materiale plastico che fa parte della famiglia dei materiali compositi, quelli impiegati nell’aeronautica o nella Formula 1, per intenderci. Tuttavia, è uno di quelli meno blasonati, specie se confrontata coi compositi a matrice ceramica o con la carboresina. Eppure, nonostante ciò, grazie ad una numerosa serie di vantaggi, la vetroresina viene, a rigore, definita la regina dei materiali da costruzione. Possiamo – infatti – affermare che oltre l’80% delle barche prodotte oggigiorno vengono realizzate impiegando principalmente questo piccolo sottoinsieme dei materiali compositi.
Partiamo dal nome: vetro e resina ci dicono tutto e niente allo stesso tempo. Il linguaggio anglosassone, probabilmente, ci aiuta a comprenderne meglio la composizione. GFRP – Glass Fiber Reinforced Plastic – significa infatti: plastica rinforzata da fibre di vetro.
Quindi la vetroresina, altro non è che il mix di due componenti: il primo di tipo vetroso, sottoforma di fibre (FDV); il secondo è la plastica vera e propria. La plastica, in questo caso specifico, altro non è che la resina indurita. Quest’ultima serve a tenere insieme le fibre di vetro, che, in realtà, sono le principali deputate al conferimento delle proprietà meccaniche – come forza, resistenza – al materiale che costituisce la scocca della barca.
LE FIBRE DI VETRO E LE RESINE
Per quanto riguarda le fibre di vetro, queste ultime solitamente si trovano in cantiere sottoforma di rotoli, che pesano circa 50 kg l’uno. All’occorrenza vengono dispiegati e ritagliati, con un semplice cutter manuale o con macchinari automatici ben più sofisticati, per andare a costituire i vari strati della scocca di VTR. Questi tessuti di fibra, vengono spalmati ed impregnati con le resine, ancora liquide. Queste sono preventivamente mescolate con appositi composti chimici – detti catalizzatori – che servono, per l’appunto, a far indurire il tutto.
L’indurimento delle resine fa sì, difatti, che i vari strati di fibre di vetro si tengano insieme in quello che poi viene definito lo stratificato della nostra imbarcazione. Questo semplice procedimento – taglio delle fibre, stratificazione e impregnatura delle stesse mediante la resina liquida catalizzata – avviene, ovviamente, in appositi stampi che non sono altro che i master da cui si ricavano, in serie, le imbarcazioni.
LAMINARE NON È PER TUTTI
Coloro che sono deputati ad effettuare questo lavoro, i laminatori, sono degli operatori specializzati, che sanno esattamente come realizzare una corretta impregnazione e posa in opera del materiale all’interno degli stampi.
Questo lo dico poiché, spesso, nel piccolo manuale del fai-da-te che molti diportisti portano con sé, vi sono suggerimenti su come eseguire questo o quel ripristino semplicemente comprando del materiale in quella ferramenta specializzata.
Laminare un’imbarcazione è un vero e proprio mestiere che richiede perizia ed esperienza. Una cattiva operazione di resinatura – molto frequente per un operatore non professionista – può lasciare delle inclusioni gassose (bolle d’aria) nello stratificato, che diventeranno prima o poi dei rapidi punti di rottura.
Ancor peggiore, inoltre, è il pericolo di non miscelare nel giusto rapporto la resina col relativo catalizzatore: si rischierebbe di avere come risultato un prodotto sotto-indurito.
Una volta terminata la fase di impregnazione delle fibre nello stampo, non bisogna far altro che attendere che il prodotto lavorato indurisca, per poi estrarlo dallo stampo.
PER FINIRE
Il processo così descritto per la costruzione della carena, si ripete, pressoché invariato, per gli altri elementi costitutivi dell’imbarcazione, che sono:
- Il ponte di coperta
- Le stampate interne, ossia: dinette, zone letto, locale toilette
- L’eventuale sovrastruttura, per imbarcazioni di tipo fly
Una volta che sono tutti sformati dai relativi stampi, questi particolari vengono assemblati insieme fino a costituire lo scheletro di tutta l’imbarcazione. Questo prodotto, infine, si trasforma in quello che poi viene presentato alle fiere, con la messa in opera degli impianti – impianto elettrico, idrico-sanitario, esaurimento sentine, e così via -, degli arredi interni, degli allestimenti esterni – pulpiti, battagliole, acciaieria, cruscotti – e della motorizzazione.