A traina col vivo
A traina col vivo, storie di pescate in compagnia di un amico d’eccezione. Era da qualche anno che non pescavo in compagnia di Gigi Calogero e forte era il desiderio di chiacchierare semplicemente del più e del meno con lo sfondo del nostro mare, quello della Costa Viola antistante la nostra amata Palmi (RC), città ricca di arte, cultura e soprattutto bellezze paesaggistiche eccezionali.
Partenza all’alba con la necessità di reperire l’esca e, da parte mia, il desiderio di riuscire a vedere Gigi all’opera con un bel pesce offrendo il mio contributo in gommone.
La preparazione delle cannette da usare per reperire il vivo, nel caso specifico gli eventuali calamari, avviene in tutta tranquillità e con sottile disinteresse, come se fosse un particolare poco importante o comunque quasi inutile, quantomeno nei miei pensieri. Pensavo che tanto quelle canne da traina, enormemente diverse dai quasi giocattolini delle mie inglesi e bolognesi, non le avrei mai viste in piega, sarebbe stato troppo bello.
Non vi nascondo che il reperimento delle esche è stato divertente per via delle catture dei calamari che in questo periodo misurano 25-30 cm, e per i quali si utilizzano egi simili a quelli utilizzate per la cattura delle seppie.
Pescare i calamari è stato divertente e anche abbastanza complicato perché appena salpati andavano maneggiati con estrema delicatezza e prontamente riposti nella vasca del vivo. Non immaginavo, inoltre, che questa tecnica, di lì a poco si sarebbe rivelata interessantissima visto che una buona riuscita lascia qualche bell’esemplare da mettere nel forno e gustarlo magari per cena.
Premetto che chi è ospite di Gigi, nel suo ambiente preferito e con il suo gommone di oltre 6,5 metri, motorizzato con Yamaha da 150 cv, deve – oltre che capire come preparare i calamenti – innescare, tarare la velocità, assicurarsi che tutti i nodi e le attrezzature siano al 100% della loro efficienza e che tutto ciò che riguarda la sicurezza sia in perfetto ordine.
Da qui si deve necessariamente partire, perché il mare non permette errori e vogliamo passare solo un paio di ore a divertirci, rievocando le centinaia di pescate che abbiamo fatto assieme, utilizzando le canne inglesi che sono un capitolo a parte per me, anzi a noi, molto caro.
A traina col vivo
Tornando al mio ruolo: oltre a quanto già detto la mia presenza era caratterizzata anche dalle migliaia di domande che facevo sulle funzioni della consolle dove erano ubicati ecoscandaglio, navigatore e strumentazioni varie con grafici leggibili solo da esperti come il caro Gigi, che riusciva a pescare esattamente alla profondità elaborando, oltre che la conformazione del fondale per lui più indicata, anche la velocità di crociera più adatta e offrendo i calamari che sarebbero stati sacrificati in cambio di una eventuale cattura di dentici o cernie ed altre specie di predatori che solcano i nostri mari.
Devo ammettere che la buona riuscita nella prima fase della nostra pescata mi ha fatto capire che la pesca a traina con il vivo richiede due fasi nelle quali bisogna essere bravi: bisogna, infatti, riuscire a prendere “il vivo” per poi passare alla fase due. In quest’ultima bisogna fare strike e buttare giù tutti i birilli che si presentano e che spesso sono pochissimi.
Sono vari step come avevo già accennato e non ultimo ma penultimo, uno dei più se non il più importante è “lo strike”, ciò che una volta chiamavamo ferrata. Credo che in questo la pesca a fondo e il surfcasting siano molto simili, perché l’esperienza ci ha dato i risultati migliori aspettando l’istante in cui la canna si piega in avanti per sferrare il nostro strike. Dopo la fase di cattura del vivo ci rechiamo nella zona con le caratteristiche a noi congeniali per ingannare l’eventuale predatore.
La tecnica
In questa tecnica l’ingannato e l’ingannatore spesso si scambiano i ruoli: se hai preso 2-3 calamari che potresti tranquillamente mettere nel forno e gustarli dopo un bel primo, ma li inneschi per ingannare una bella preda che invece te li strappa via senza pagare pegno… beh… diventi tu l’ingannato.
Bene, io nel mio immaginario avevo già dato per scontato che per vedere una cattura spettacolare avrei come minimo impiegato 4 o 5 pescate a vuoto, per poi assistere alla cattura di un pesciotto di massimo un paio di kg.
Siamo all’innesco che non deve essere lesivo sul calamaro che dovrà poter nuotare liberamente e soprattutto presentarsi in modo più naturale possibile. I due ami vanno, quindi, posizionati con il penultimo che buca la coda, prendendo la parte finale dell’osso e l’ultimo nella parte dove si raggruppano i tentacoli, evitando di ledere le parti vitali.
Ovvio che per poter utilizzare delle esche di misure variabili, si usa un terminale con 2 ami, uno dei quali scorrevole, in modo che la presentazione sia la più naturale possibile. Non dimentichiamo che più grossi sono i pesci e più insidie hanno superato e per tanto, più sospettosi saranno.
Impostate le 2 canne una da 12 e una da 20 lb, caricate con 500 metri di multi fibra da 0,23 e preterminale da 0,60 con piombo scelto in base alla profondità nella quale si vuole pescare (30-60 nel nostro caso e con piombo guardiano da 650g/750g).
Iniziamo a tracciare le rotte scelte per la battuta di pesca con il sole già alto e non senza un mio breve pisolino riabilitativo dopo la levataccia e il caldo che aveva preso il sopravvento sulla leggera brezza che fino alle 8:00 soffiava da terra.
Riprendo con le mie migliaia di domande, mentre Gigi è intento a quadrare l’ecoscandaglio e non aveva visto i colpetti sulla sua canna che io al contrario avevo notato e di cui, senza troppa enfasi, avevo avvisato.
È qui che entra in gioco l’esperienza. Gigi afferra la 12 lb. e prima di sferrare lo strike porta avanti l’attrezzo che in questo modo dà una corsa più lunga alla ferrata.
E’ proprio in questi istanti che noi pescatori siamo già appagati dall’emozione (anche se in questo caso io sono spettatore) e tutto ciò che viene dopo è semplicemente qualcosa in più!
In fase di recupero non posso esimermi dal chiedere a Gigi di quale pesce si trattasse: è un bellissimo dentice.
Con destrezza e senza grosse difficoltà il pescione viene assicurato in barca con l’uso del guadino.
Lo strike
Organizzate le foto di rito e dopo vari complimenti fatti per la magnifica pescata mi sento dire con tono serio: “Adesso prendiamo una cernia“. Sulla sua affermazione scoppio in una fragorosa risata poiché ero già più che appagato da quanto appena vissuto e gustato, ma Gigi non è convinto e mi accenna solo un sorriso.
Dopo 20/25 minuti arriva lo “STRIKE“, questa volta prima sento la frizione e subito alzo gli occhi e la 20 lb. in piega viene imbracciata e inizia il combattimento.
Era lei, la cernia di cui parlava Gigi, ma non era una cernia comune: si distingueva per il colore bianco e per il suo peso che sfiorava i 10 kg.
Questa insieme al dentice avrebbe occupato una parte dei miei ricordi più belli in assoluto per l’eternità, un ricordo che si sommava alle altre pescate effettuate in compagnia del mio caro amico Gigi.