Alessandro Chessa e i mezzi che vanno d’accordo con il mare. L’intervista.
“Non amo molto i maxi yacht, sono un po’ anomalo in questo, mi sembrano più simili ad una casa o ad un palazzo, sui quali poi avrei comunque voglia di andare in barca”. Potremmo riassumere con questa sua battuta la figura dell’Ingegnere navale Alessandro Chessa: una battuta dove, oltre alla sua ironia, si legge anche il suo grande amore per il mare. Ed è proprio da questa passione che è iniziata la sua carriera.
“Da bambino giocavo tutto il giorno con le barche giocattolo nell’acqua bassa, quelle per controllare l’andamento della carena. Ero inoltre appassionato di riviste di settore, quando non sapevo ancora leggere mi affascinavano le figure. La prima barca a remi l’ho avuta a 6 anni, la prima a motore a 13 anni: un Boston Whaler con un motore da 25 cavalli. Negli anni è arrivata anche la passione per gli sport acquatici: nuoto, pesca sub e bodyboard. Infine gli studi in Ingegneria navale, dove ho unito le mie due passioni: le barche e i computer. Prima di laurearmi, nel 2005/2006 progettai l’Akes 23, la mia prima barca che ancora posseggo e che per ovvie ragioni affettive sarà dura sostituire”.
Un profilo sincero quello che emerge di uno dei progettisti più conosciuti in Italia e all’estero per imbarcazioni di piccole e medie dimensioni, apprezzato soprattutto perché le sue carene parlano la stessa lingua del mare. “Cerco di immaginare il mezzo nautico come fusione di ciò che può piacere a tutti e tre: a me, al committente e al mare”. Preciso e tecnico, ma anche creativo ed appassionato. Lo abbiamo intervistato.
Andiamo con ordine, ci spieghi la linea Akes
L’idea è nata mentre mi stavo per laureare. Il primo progetto , “Akes 23” è stato acquistato da un cantiere dall’ altra parte del mondo. Da allora ho avuto l’idea della linea Akes che è una gamma di modelli di barche create senza vincoli dal committente, il cui progetto è pensato come acquistabile in licenza da qualsiasi cliente: cantiere o privato. Sono barche in alluminio, talvolta in compensato marino e resina epossidica, senza stampo e pertanto sono personalizzabili: i progetti di barche Akes, infatti, sono stati venduti in varie parti del mondo, dalla Corea agli USA, e anche in Asia, Europa, Russia e Australia. Ho iniziato a lavorare usando i software di progettazione applicando le connessioni a banda larga per lavorare con l’estero. In questo caso sono stato un pioniere dello smart working.
Famoso per l’ottima navigabilità e linee degli scafi ancor prima che per il design di coperta. Tanto che un occhio esperto saprebbe riconoscerli a prima vista. Ma quali sono le peculiarità delle sue carene e come le adatta alle esigenze dei diversi cantieri?
Io progetto delle carene in base ai requisiti operativi. Gli scafi sono diversi per dimensioni o carico, ognuno avrà una carena diversa. Sebbene in alcuni casi ci possa essere un feeling non uso mai la stessa carena da adattare facendo un’operazione di scala, che pure è una pratica diffusa, ma a parere mio non ottimale. – Ci spiega Chessa-.
Affronto la progettazione della carena pensando al comportamento sul mare mosso o agitato, come è spesso dalle mie parti, in Sardegna, con velocità di crociera e con accelerazioni in verticale più contenute possibile, ovvero che sia morbida e con consumi bassi e che sia molto veloce con mare calmo; il tutto con particolare attenzione a rendere una navigazione asciutta.
Questo lo ottengo con deadrise poppieri non particolarmente elevati in modo da avere una bassa velocità minima di planata che è molto utile in condizioni avverse, spesso navigando contro onda frangente, ma avendo al contempo angoli di stellatura medi che invece sono piuttosto pronunciati, l’assetto quindi risulta piuttosto orizzontale, però con una carena molto profonda.
Diverso da molte carene che si vedono spesso con angoli di poppa elevati, che però per planare richiedono velocità operative altrettanto alte con il rischio di essere poco confortevoli con mare ripido frangente che non consente la planata. La peculiarità delle carene che progetto è quella di poter marciare a quell’andatura contro onda in comfort e a velocità di planata a battute basse.
La creatività spesso nei suoi progetti fa il paio con avanguardia. Imbarcazioni dalle linee molto particolari, penso ad esempio ai Bayamo o ai battelli Miura; ma anche imbarcazioni più tradizionali come i Salpa e gli LTN. Alessandro Chessa, ci spiega qual è l’approccio progettuale rispetto alle richieste dei diversi cantieri? E quali sono le peculiarità dei diversi modelli dei cantieri citati?
La cosa non facile è proporre linee diverse a cantieri che richiedono mezzi simili come caratteristiche e dimensioni. Sarebbe più semplice usare la stessa linea per marchi diversi cambiando qualche elemento stilistico.
Bisogna avere una buona dose di creatività che sia però confinata entro i canoni del realizzabile e navigabile, altrimenti si ricadrebbe entro il mero oggetto di design di cui siamo pieni, ma in cui poi c’è poco di realizzabile. Cerco sempre di capire i gusti del cliente, anche in base a quello che gli piace non esclusivamente in ambito nautico. Immagino il mezzo nautico come fusione dei miei gusti, di quelli del committente e quelli del mare. I migliori progetti si ottengono infatti quando questi convergono.
Capita a volte che se i gusti di cliente e progettista sono troppo lontani possa uscire uno scafo o poco funzionale o brutto, quindi preferisco non accettare il lavoro. Per quanto riguarda ad esempio i battelli che ho progettato per LTN e Bayamo, posso dire – spiega Alessandro Chessa – che si tratta in entrambi i casi di gommoni sportivi con carene in alluminio, open e con piccola cabina: in linea di massima si potrebbero considerare mezzi simili, ma in realtà sono molto diversi al livello di design di coperta.
Il Bayamo è più un coupé esclusivo, mentre la linea per LTN ha un appeal un po’ più militare. Oppure prendiamo il Miura, ad esempio – dice ancora Alessandro Chessa – è un battello che unisce il tradizionale al tecnologico, legno resinato con epossidica e linee squadrate; o ancora è molto particolare e a sé stante la linea Advance con spigoli molto netti inseriti in un contesto di forme aggressive. I Salpa, invece, sono ulteriormente diversi perché è una linea di gommoni progettata tenendo in considerazione ciò che facevano i competitor cercando di fare un passo avanti.
Forma, ma anche contenuto: veniamo ai materiali, lei progetta tanto in alluminio quanto in vetroresina, ma quale materiale le lascia maggior spazio alla fantasia progettuale?
Entrambi i materiali – ci dice ancora Alessandro Chessa – aprono molto alla fantasia progettuale, ma con caratteristiche molto diverse e fermo restando che con entrambi i materiali è possibile realizzare qualunque cosa. Il discorso è diverso quando si tratta di progettare qualcosa da realizzare con quel materiale e che sfrutti con intelligenza le caratteristiche, tenendo in considerazione quello che vuole il mercato.
Con la vetroresina c’è tantissima possibilità di forme, ma ci sono da evitare – per quanto possibile – i sottosquadri, che richiederebbero proliferazione di stampi ed elevamento di costi. Non è inoltre opportuno esagerare con gli spigoli, per non far lavorare male i tessuti. Con l’alluminio è possibile invece realizzare tutte le rastremazioni e i sottosquadri possibili, ma d’altro canto consente anche doppie e multiple curvature.
Ci vuole esperienza per pensare in alluminio – specifica Alessandro Chessa – la cosa da non fare è arrendersi su forme esageratamente semplici, ovvero ciò che è stato fatto fino a 10 anni fa. Tra VTR e alluminio sto però lavorando a dei progetti in HDPE, un polietilene ad alta densità. Un materiale che si potrebbe diffondere velocemente nel settore nautico, perché è riciclabile e sappiamo bene che tra i costi delle imbarcazioni in vetroresina ci sono dentro anche i costi destinati allo smaltimento, problema che questo materiale sopperisce poiché riciclabile al 100%; inoltre si presta bene anche alle realizzazioni custom perché ha ottime doti meccaniche e non necessita di stampi.
Barche, gommoni o powercat? Cosa la diverte maggiormente progettare e quale tipologia di imbarcazione secondo lei, commercialmente, è più apprezzata?
Commercialmente, fino ai 7 metri, il gommone vince a mani basse. Principalmente per il retaggio di sicurezza che è stato impresso negli anni nei confronti del mezzo pneumatico, soprattutto quando si confronta con il mare mosso.
Sopra i 6/7 metri, invece è crescente l’interesse per le barche walkaround e gommoni con piccola cabina; ne ho esperienza diretta con il progetto walkaround di AQA 22. Al powercat è riservato il futuro perché unisce le peculiarità del gommone con spazi superiori a quelli disponibili su una barca monoscafo. Negli Stati Uniti c’è già il boom! La clientela italiana, invece, deve ancora vincere la resistenza per l’estetica particolare e per la novità. Però se si guarda ai contenuti il catamarano è difficilmente battibile.
A cosa sta lavorando in questo momento? Quali novità per il 2021/2022?
Ho appena completato il progetto di un catamarano di 12 metri in alluminio con prestazioni oltre i 55 nodi. Sto lavorando – ci dice infine Alessandro Chessa – sull’ammiraglia del marchio serbo, l’Advance: un gommone di 11 metri cabinato. Progetto, inoltre, una barca chiusa, un gommone sportivo di 10 metri per due importanti cantieri cinesi; nuove versioni di Aqa 22 Walkaround e la nuova linea Hellfire, sempre per il cantiere AQA di Trapani.
Lavoro inoltre su due nuovi modelli per un neonato cantiere egiziano; su un nuovo 10 metri in alluminio e un maxi rib custom in alluminio di 14 metri per due committenti privati; infine ad un nuovo 12 metri per il cantiere australiano Southbound.
ALESSANDRO CHESSA – AKESDESIGN
Cell. +39 328 0728331