Una vita sul pelo dell’acqua: intervista a Roberto Biscontini
L’espressione forse più calzante per descrivere la storia, lavorativa e non, di Roberto Biscontini. Utilizzato dapprima solo nel gergo della scienza idraulica, questo modo di dire è entrato poi nel linguaggio comune; un po’ come lui che, dopo una vita da regata pura, si è avvicinato alle imbarcazioni un po’ più per tutti. La sua passione – iniziata da ragazzino, in barca a vela – è stata coronata da studi, esperienze e collaborazioni d’eccezione: dalla Coppa America ai grandi cantieri. Oggi l’Architetto, a capo dello studio Biscontini Yacht Design, ci parla di avventure, carene e progetti, non ultime le due novità di casa Beneteau: il First 44 e l’Oceanis Yacht 60.
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Come nasce Biscontini Yacht Design?
Nasce, come spesso accade nel campo della nautica, da una passione. Di solito, se si chiede a chi si occupa di progettare barche a vela come ha cominciato, la risposta è quasi sempre simile alla mia: è un lavoro che nasce dalla passione, non è mai casuale. Da ragazzino andavo in barca a vela. Sono cresciuto a Milano, ma gli ultimi due anni di liceo sono tornato a Pesaro, dov’ero nato. Sono andato lì per partecipare a tutte le regate, con l’entusiasmo che contraddistingue i ragazzi che hanno passioni forti. Già al tempo mi interessava la progettazione: avevo progettato, e poi costruito con l’aiuto di alcuni amici, una barca da regata IOR di 7,5 metri. Così, quella che prima era solo una passione è diventata piano piano un lavoro. Mi sono spostato in Inghilterra per studiare Architettura Navale ed Ingegneria Aeronautica. Dopodiché ho lavorato in diversi studi negli Stati Uniti; fino al 1985 quando sono tornato a Milano e ho aperto il mio studio.
Ha lavorato a lungo nella Coppa America. Ci racconta questa esperienza? C’è qualcosa di quegli anni che riporta nella sua attività di oggi?
Io avevo, appunto, la passione delle barche a vela, che mi aveva già portato a scegliere Architettura Navale, ma, soprattutto, avevo captato che il mondo della progettazione stava cambiando: da quella che era un’arte tramandata all’interno di pochi studi nel mondo, si stava trasformando in una scienza; com’è effettivamente oggi al 100%.
Con l’arrivo di computer e di software sempre più potenti, sempre più a buon mercato e quindi disponibili per tutti, il modo di progettare ha cominciato a cambiare radicalmente. Io ero giovane e mi ritrovavo proprio in quel momento di grandi cambiamenti, così ho deciso di prendere il master in Ingegneria Aeronautica, perché la scienza e la tecnica che tuttora si applicano alla progettazione delle barche a vela, anche in Coppa America, hanno origine nel mondo aeronautico: le barche a vela, infatti, funzionano in modo molto simile agli aerei. Dunque, mi sono specializzato in questi campi più tecnici e scientifici. Nei miei anni di lavoro negli Stati Uniti ho conosciuto un po’ di gente e questo mi è stato utile per dopo. Quando Gardini affidò la gestione del Moro di Venezia e la creazione del team agli americani, loro mi chiamarono perché mi conoscevano, avevamo avuto già modo di interagire.
Così sono iniziati i successivi 25 anni della mia vita, in cui non ho mancato una gara, ho fatto tante coppe saltando da un team all’altro. È stato un periodo assolutamente adrenalinico e molto interessante perché in questi ambienti si lavora sempre ai limiti della tecnologia disponibile in quel momento. Gli interlocutori sono i velisti del tuo team, velisti di Coppa America, quindi persone molto valide, con qualità e doti naturali di atleta che le rendono estremamente complete e con cui si dialoga molto bene. Nonostante questo mondo fosse così stimolante, la stanchezza dopo 25 anni ha avuto la meglio: è un settore in cui sei sempre in giro per il mondo, lavori sabato, domenica, di notte e di giorno, non esistono feste comandate, un po’ come succede nella Formula 1 o nella Moto GP; così ho deciso di smettere.
Dopo questa lunga introduzione, ora le rispondo direttamente alla domanda: tutto questo bagaglio di conoscenze, anche dal punto di vista dell’organizzazione e del modo di lavorare, l’ho convogliato nei miei attuali lavori. Ormai da vari anni il mio cliente principale è il cantiere Beneteau, con cui stiamo realizzando diverse imbarcazioni che non sono più da regata pura, ma sono barche da crociera performanti, dove le prestazioni rimangono sempre importanti.
Il rapporto con Beneteau è ben consolidato e di recente riconfermato dal First 44. Un’imbarcazione che, di fatto, è come se avesse due identità con le sue due versioni: standard e performance.
Esattamente, il First 44 è un esempio di barca a vela non da regata, ma estremamente performante. Lavorando con Beneteau bisogna adattarsi anche alla produzione di serie, che per sua natura (e per controllare i costi) è obbligata ad utilizzare materiali indicati per il tipo di lavoro. Quindi, si deve riuscire a coniugare la base, che non è specifica per barche da regata, ed aggiungerci altri dettagli, come le forme dello scafo, le appendici, il piano velico, il piano di coperta, che invece hanno un’anima più regatistica, riuscendo poi a mettere tutto insieme. Non è semplice appunto perché è – non mi piace usare la parola “compromesso” che ha una connotazione negativa – un sottile bilanciamento tra le necessità della produzione di serie e quelle di una barca performante.
A proposito di rapporti consolidati, lei e Lorenzo Argento avete firmato diversi progetti assieme per Beneteau. Come nasce questa collaborazione?
È nata ormai circa 5 anni fa, quando Beneteau aveva deciso di rinnovare la sua gamma di barche a vela. Il cantiere ha una gamma First ed una Oceanis: la First più sportiva, mentre la Oceanis più crocieristica. C’era voglia di rinnovare e per farlo hanno indetto un concorso a inviti per i progettisti. Il loro modo classico di lavorare prevede due progettisti esterni: uno (in questo caso io e il mio studio) si occupa dell’architettura navale, ovvero di progettare lo scafo, le appendici e il piano velico, di studiare il bilanciamento della barca, le previsioni delle prestazioni, i pesi e così via; l’altro si occupa del design, cioè di realizzare gli interni, creare lo stile esterno, la tuga e così via. In questo caso, Beneteau aveva formato le coppie ed io e Lorenzo ci siamo trovati insieme; comunque già ci conoscevamo, anche perché nel mondo della progettazione nautica bene o male ci si conosce un po’ tutti. Abbiamo partecipato al concorso e l’abbiamo vinto. Da lì è cominciata questa collaborazione, giunta ora al quinto progetto con Beneteau. In acqua per ora ce ne sono due, altri due sono stati presentati da poco a Cannes: il First 44 e l’Oceanis 60. Poi forse ne arriveranno altri in futuro.
La nuova ammiraglia, tra l’altro, è in nomination per il titolo di European Yacht of the Year 2023. Ci parla dell’Oceanis Yacht 60?
Esatto, per scelta di Beneteau non si chiama solo Oceanis 60, ma Oceanis Yacht 60. Questo perché con la parola “yacht” si vuole sottolineare il fatto che non si tratta più di barche a vela da crociera di piccole dimensioni, ma di barche da crociera impegnative, anche molto più rifinite e ricche nei dettagli e nelle comodità. L’Oceanis Yacht 60 è un’imbarcazione di 18 metri, quindi diciamo già bella grande, ed è spostata verso quel settore di barche ricche, molto comode, su cui si trovano tutti gli optional che uno può pensare. Quindi, una vera e propria barca da crociera.
Qual è il suo tratto distintivo, la sua impronta?
Ovviamente sono cose che magari negli anni possono mutare. Tuttavia, io da sempre, anche per la lunga esperienza in Coppa America, mi concentro su carena, forme di carena, piano velico; insomma, il pacchetto idrodinamico della barca è una cosa che mi sta molto a cuore e che seguo sempre. Anche sull’Oceanis Yacht 60, prettamente da crociera, se si guarda allo scafo si nota che non è certo uno scafo da regata – anche perché il peso è quello di una barca da crociera – ma ha comunque alcuni tratti tipici di una barca performante.
Ci sono barche da crociera dove l’idrodinamica è stata completamente ignorata: si è costruito come un involucro, che ha il solo scopo di racchiudere gli interni. Invece, anche se la barca è totalmente da crociera, a me sta sempre a cuore progettare una carena, con il suo piano velico e le sue appendici, che siano aerodinamicamente e idrodinamicamente accettabili, sviluppate con un criterio scientifico, insomma.
Quali progetti ci sono in cantiere al momento?
C’è sempre un tavolo aperto con Beneteau per possibili prossime imbarcazioni che potremmo realizzare, ancora niente di sicuro però. Invece, per quanto riguarda lavori con i privati, c’è il progetto di una barca di dimensioni importanti, di cui stiamo parlando con un armatore, che dovrebbe andare a buon fine. Se dovesse andare in porto, sarebbe una barca bellissima: da crociera, ma sempre performante; molto moderna e a cui mi potrò approcciare con una certa libertà progettuale. Infine, siamo sempre in fase di trattativa per un 48 piedi: più da regata, comunque non da regata pura, ma più performante.
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