Il design non si mostra, si vive: intervista all’architetto Lucio Micheletti
Il fil rouge che percorre la sua carriera e i suoi progetti è la ricerca di una bellezza che non fa rumore, che non invade. Artista e progettista a capo dello studio Micheletti + Partners, l’architetto Lucio Micheletti ci racconta della sua personale visione del design, della contaminazione tra automotive e yachting, dell’equilibrio e dell’attenzione al dettaglio, elementi necessari a generare benessere.
Tra passato, presente e futuro: termini temporali di cui, però, lui ha una concezione molto personale.
Lei ha cominciato il suo percorso frequentando l’atelier di Edoardo Krumm. Quanto ha influito l’arte sul suo approccio?
Ho sempre visto l’arte come il punto di riferimento del bello, ma forse l’arte cerca semplicemente di capire il mondo e di farlo capire. Sono stato artista a La Biennale d’Arte di Venezia con “Blue Forest” e ho partecipato a due Open con sculture in marmo. L’arte è stato il mio primo amore, un rapporto in cui la bellezza era inaspettata, intensa e abbondante.
Quando ho presentato all’YCI di Genova il Baltic 142, ne ho realizzato un modello in marmo: quel giorno volevo parlare solo di design, di stile. Noi artisti/architetti parliamo del futuro per affrontare le contraddizioni del presente e nel farlo dobbiamo ricordare il passato; il marmo in questo processo ha avuto per me una funzione importante.
Quando progetto barche, lavoro con il carbonio, rivesto materiali nobilitandoli, ma sono comunque sempre alla ricerca della leggerezza. Viceversa, quando parlo e tratto di arte, trovo che la sua forza sia nella pesantezza: è come se la leggerezza del messaggio venisse esaltata dalla pesantezza del materiale.
Ha aperto il suo studio nel 1987, ma ha inaugurato la divisione Yacht Design solo 2011. Com’è approdato l’architetto Lucio Micheletti alla nautica?
Definirei il mio lavoro un percorso in continua evoluzione. Quando ho aperto il mio primo studio, ho vissuto il design come forma di pura espressione; laureato con Zanuso, frequentavo Castiglioni e quel circolo di razionalisti milanesi. Un periodo intenso durante il quale ho iniziato a lavorare in Zagato e, così, a scoprire il mondo dell’automotive.
L’architettura – quella pura, fatta di volumi – è stata sempre una costante nel mio percorso e mi ha regalato la possibilità di interfacciarmi con hotel, palazzi, teatri e volumi inediti. Ma il design, letto come espressione dell’arte, è la mia vera passione. L’approccio al mondo della nautica è stato naturale. Ho scoperto un mondo diverso, dove l’uomo poteva trovare il suo equilibrio.