L’osmosi delle imbarcazioni: cos’è, perché si forma e come si risolve
Alcuni armatori, in occasione dell’acquisto di un’imbarcazione usata (ovvero durante la sorveglianza della costruzione di una nuova) mi chiedono di verificare che la barca non presenterà osmosi“. Vorrei, come al solito, fare un po’ di chiarezza in merito.
Innanzitutto, l’osmosi non è l’unico problema che possono presentare le imbarcazioni. Ve ne sono molti altri di vizi, anche occulti, che possono minare le proprietà meccaniche di uno scafo e, di conseguenza, la sicurezza durante la navigazione. Se l’armatore sta acquistando una barca usata che ha navigato già per qualche anno, prima ancora di verificare eventuali problemi di osmosi, è molto importante escludere che essa abbia subito urti o danni strutturali.
In questo caso, infatti, se il ripristino non è stato effettuato “a regola d’arte” il pericolo è che, nonostante l’apparenza sia buona, i rischi durante la navigazione possano essere tutt’altro che bassi. Un urto a mare, infatti, se sufficientemente impattante si ripercuote non soltanto sul fasciame dello scafo ma va a coinvolgere i longheroni e i madieri, ossia le “costole” della barca che, in casi gravi, possono addirittura staccarsi dal fondo dello scafo con conseguenze anche molto gravi.
Ma torniamo al discorso dell’osmosi, cos’è, come si forma, quali conseguenze può avere sul natante e, infine, se è recuperabile. Innanzitutto, l’osmosi è un “fenomeno fisico” per nulla esclusivo di barche o vetroresina. Senza andare a scomodare il vocabolario o qualche enciclopedia della tecnica, spiegherò il concetto di osmosi in maniera molto semplice. L’opera viva della barca è costantemente a contatto con l’acqua o, almeno, lo è per tre o quattro mesi l’anno.
Essa, nel 90% dei casi è costituita da vetroresina (l’osmosi delle barche non riguarda quelle in legno o in metallo) che, a sua volta, è formata da una serie di strati di fibra di vetro impregnati con resine sintetiche.
Se la “barriera” fra questi strati di vetroresina e l’acqua di mare non è sufficientemente “forte”, col tempo le molecole d’acqua possono penetrare lo strato esterno del gelcoat ed “infilarsi” nei primi layer di vetroresina.
Questo processo, man mano che avanza, può essere pericoloso perché l’acqua reagisce con gli appretti aceto-vinilici (si lasci stare questa terrificante parola) presenti nel laminato e rilascia come prodotto secondario un composto contenente acido acetico.
Per farla breve: l’acqua penetra, pian piano, nei primi strati di VTR ed inizia a reagire con alcuni composti che si trovano nel laminato. Questa reazione porta la creazione di caratteristiche escrescenze (bolle) che contengono un liquido oleoso che odora di aceto. Se questa reazione chimica prosegue nel tempo (senza nessuna opera esterna tendente a porvi rimedio) può minare gradualmente le caratteristiche meccaniche del laminato. Bene. Spero che il concetto di osmosi sia, a questo punto, un po’ più chiaro.
Perché avviene? Perché alcune imbarcazioni presentano il problema, mentre altre (dopo anni) risultano ancora integre e senza la benché minima escrescenza?
Anche in questo caso, le risposte sono molteplici e non basterebbe una lezione di qualche ora per spiegare bene ciò che accade. Ad ogni modo, proverò a fornire delle indicazioni di massima.
Come dicevo prima, fra gli strati di VTR e l’acqua vi sono delle barriere. Tanto più le barriere sono “forti chimicamente” tanto meno la barca sarà esposta al rischio di osmosi.
La prima barriera è costituita dalla resina che impregna l’imbarcazione. Partiamo da un presupposto. Abbiamo tre livelli di resistenza (in ordine decrescente) all’idrolisi (l’attacco dell’acqua): le resine epossidiche sono le più resistenti, subito dopo abbiamo le vinilesteri, ed infine troviamo poliesteri isoftaliche (non cito le poliesteri ortoftaliche perché risultano veramente troppo poco resistenti all’idrolisi e le sconsiglio fortemente per le imbarcazioni).
Fatta questa premessa, bisogna dire che nel diporto, nella quasi generalità dei casi, si utilizzano resine di natura poliestere (quindi orto, iso e vinilesteri), mentre le epossidiche vengono impiegate, ad oggi, su imbarcazioni da regata o comunque “hi-tech”. Al momento dell’acquisto dell’imbarcazione è bene richiedere che sui primi strati del laminato (almeno i primi due “ChoppedStrandMat”) vengano usate resine vinilesteri che presentino una buona inerzia chimica. E questa era la prima barriera.
Una seconda importante barriera è la presenza di un gelcoat di prima scelta.
In fondo, anche il gelcoat è una “resina” (anche se pigmentata) e per tale motivo, bisogna premurarsi che l’utilizzo di Gelcoat Neopentilici sia una “conditio sine qua non”. In ultimo, ma non per importanza, vi sono anche dei trattamenti “anti-osmosi” che vengono effettuati in maniera preventiva. Di solito, prima di applicare l’anti-fouling, si possono applicare dei trattamenti epossidici atti a creare una ulteriore barriera chimica contro l’ingresso dell’acqua all’interno del laminato. Adesso verrò anche al punto finale. Una volta che abbiamo scoperto che l’imbarcazione è “affetta da osmosi”… cosa fare? La domanda da cento milioni di dollari, ha una serie di risposte molto semplici.
Primo. Se abbiamo scoperto che l’osmosi è “all’inizio” del processo (come tutti i processi “degenerativi” prima si interviene, meglio è) non c’è da preoccuparsi. Sempre servendosi di professionisti riconosciuti e certificati (è molto rischioso affidarsi al “bravissimo amico dello zio che ha risolto quel difficile problema alla barca della cugina) si interverrà sullo strato esterno di gelcoat (ed eventualmente sullo skincoat) ripristinando lo stato originario senza alcun tipo di difficoltà.
Se, invece, il fenomeno è avanzato per qualche tempo (ma perché non si fanno controllare le barche regolarmente?), occorrerà intervenire con azioni mirate e specifiche che possono essere sicuramente più invasive e al contempo richiedere più tempo ed esborsi economici maggiori.
Ad ogni modo, io affermo sempre che la vetroresina è un materiale magnifico perché anche in condizioni molto critiche (osmosi avanzate, delaminazioni, danni strutturali) può essere recuperata e ripristinata con successo ma questo avviene solo a patto che i lavori vengano effettuati da operai specializzati diretti da professionisti di acclarata competenza ed esperienza.