Calamari a tataki
C’è chi li cerca perché sono formidabili come esche vive, chi invece perché sono altrettanto formidabili a tavola. Di sicuro possiamo dire che, in inverno, questo cefalopode non se la passa poi tanto bene, soprattutto considerando che esiste una tecnica, anche molto divertente, per insidiarlo di giorno: il tataki.
Se fin’ora siete stati sempre costretti a trascorrere le fredde notti invernali in bianco alla ricerca dei calamari, trainando pesanti affondatori idrodinamici, talvolta rimpiangendo il caldo letto… o, ancora peggio, se fin’ora vi siete sempre lasciati scoraggiare da tutto questo, allora vorrei svelarvi un segreto: i calamari si pescano anche di giorno e anche con una tecnica molto divertente!
I Giapponesi in quanto a innovazioni sono sempre stati un passo avanti, anche questa volta non deludono le aspettative, mettendo a punto una tecnica chiamata “tataki” che ormai da qualche anno si pratica con successo anche in Italia.
MIGRATORI NOTTURNI
Prima di approfondire la tecnica in oggetto, è importante conoscere alcune caratteristiche e abitudini di questo ricercatissimo cefalopode. Si tratta di un vorace predatore che si nutre per lo più di alici, di sugherelli, di sgombri e in generale di piccoli pesci. Una volta individuata la preda gli si avvicinerà molto lentamente e, raggiunta la distanza utile, in una frazione di secondo allungherà i suoi due lunghi tentacoli, afferrando il mal capitato e risucchiandolo tra le sue otto braccia ricoperte di ventose, al centro delle quali è presente un becco micidiale. Allo stesso identico modo afferrerà le nostre esche artificiali, restandone allamato talvolta sui tentacoli, talvolta sulle braccia. Le sue zone di caccia cambiano a seconda dei periodi dell’anno e del litorale, ma soprattutto variano dal giorno alla notte: compiono, infatti, delle vere e proprie migrazioni durante l’arco della giornata che li porta ad essere presenti di notte a profondità più basse ed anche a mezz’acqua, mentre di giorno preferiscono stazionare a stretto contatto con il fondo a profondità più importanti, che a seconda del periodo dell’anno possono variare da 20 a 100 metri. Di solito di giorno preferisco cercarli su fondali fangosi o di ghiaia, ma sono presenti anche su fondali rocciosi così come sulla posidonia… tutto dipende dalla vostra zona: dovrete dedicare molto tempo alla ricerca con la strumentazione, ma una volta catturato il primo ed individuata la tipologia di fondale e la batimetrica, sarà molto più facile trovarne altri.
ATTREZZATURA
La canna da tataki gioca un ruolo fondamentale! Difficilmente riusciremo ad adattare una canna studiata per un’altra tecnica, il rischio è di non pescare neanche un calamaro, quindi meglio acquistare una canna che nasce per quell’utilizzo specifico: ormai in commercio esistono dei prodotti con ottimo rapporto qualità/prezzo. Dovrà essere leggera, perché la terremo in mano per ore, di lunghezza compresa tra i 200 e i 240 cm (io preferisco i modelli più corti sempre per affaticare di meno il braccio), con un’azione di punta ed una vetta molto sensibile per vedere le tocche del calamaro, ma allo stesso tempo capace di gestire piombi anche da 200/250 gr.
Il mulinello da accoppiare sarà di stazza da 3000 a 5000, a seconda della profondità, e con un buon rapporto di recupero, perché la velocità in questa pesca è molto importante, imbobinato con trecciato massimo 0,20 mm.
ESCHE
Le esche da tataki si chiamano “oppai“ anche se sono generalmente nominate a loro volta tataki. Ne esistono di tutti i tipi: morbidi in gomma, rivestita di tela, rigidi rivestiti, rigidi smaltati, con uno o due cestelli, con le pinnette laterali di piuma o senza. Alcuni sostengono che le esche morbide di gomma siano migliori, perché sono più realistiche al tatto quando il calamaro le tocca con i tentacoli… a dire la verità, pesco spesso con esche rigide e ho gli stessi identici risultati. In ogni caso è bene avere una buona scorta di oppai di diversi colori e dimensioni, in modo da poter effettuare qualche tentativo nei momenti di scarsa attività.
I colori che in generale, secondo la mia esperienza, hanno un’ottima resa sono i verdi, gli arancio, i neri, i bianchi e i viola.
… E TERMINALI
Al trecciato proveniente dal mulinello collegheremo uno spezzone di 5/6 metri di nylon dello 0,30/0,40 ed una piccola girella a cui collegheremo del fluorocarbon di diametro compreso tra lo 0,28 e lo 0,35. Dopo circa 50 cm creeremo un’asola con il nodo dropper loop e tagliandone uno dei due capi vicino al nodo avremo realizzato il primo bracciolo a cui collegare l’oppai. Alcuni preferiscono lasciare l’asola e inserire le esche con una bocca di lupo, io non ne vedo l’utilità e vi consiglio di realizzare i braccioli come vi ho spiegato. Quindi continuando con un dropper loop ogni 70/80 cm circa, andremo a realizzare in totale dai 3 ai 5 braccioli, sui quali collegheremo gli oppai a circa 5/6 cm, disponendo quelli più piccoli e di colore più chiaro in basso e i più grandi e di colore scuro in alto. Alla fine del terminale, a circa 30 cm dall’ultimo oppai, legheremo un’altra micro girella e a seguire uno spezzone di circa 20/30 cm di nylon da 0,20 con un piombo da 150/200 gr. a seconda della corrente e della profondità. Lo 0,20 finale ci servirà a salvare le esche in caso di incaglio.
NEL VIVO DELLA RICERCA
Il tataki è a tutti gli effetti una tecnica verticale, di conseguenza va eseguita cercando di pescare il più possibile sulla verticale della barca. L’azione di pesca si svolge procedendo lentamente a motore con gli occhi puntati sull’ecoscandaglio e le esche già in acqua, appena fuori dalla murata. Non appena vedremo le marcature dei calamari comparire sullo schermo, daremo immediatamente un colpo di retromarcia per fermare la barca e contemporaneamente apriremo l’archetto del mulinello. Raggiunto il fondo, metteremo in tensione il filo ed eseguiremo 4 o 5 “sbacchettate”, ovvero veloci e cortissime jerkate sul posto, senza avvolgere filo, e solleveremo lentamente la punta della canna prestando attenzione alla vetta. La tocca del calamaro sarà visibile con un appesantimento del cimino e successivamente lo sentiremo combattere con delle morbide “testate” che in realtà sono le sue fughe che esegue soffiando acqua. A dire la verità per essere un cefalopode è anche molto combattivo e gli esemplari grandi spesso si fanno sentire non poco. Il recupero dovrà essere costante e non troppo veloce, cercando di assecondare le fughe per evitare che si strappi. Una piccola chicca: pulite sempre i cestelli degli oppai da tutto il nero e il muco! Potete usare uno spazzolino o più semplicemente soffiare forte con la bocca… l’importante è che siano puliti. Se invece non avremo attacchi, riappoggeremo il piombo sul fondo ed eseguiremo nuovamente l’azione per un massimo di 4 o 5 volte: di solito quando i calamari ci sono e sono in attività attaccano immediatamente le nostre esche, quindi se non subiremo attacchi, meglio venir su velocemente e cambiare punto continuando la ricerca. Allo stesso modo, dopo uno o massimo due calamari presi (o persi), inutile insistere sulla zona, perché non mangeranno più, quindi esche velocemente su e via a cercare altre marcature. Questa è una tecnica molto frenetica e per ottenere risultati bisogna non fossilizzarsi dove non abbiamo mangiate e cercare di effettuare più calate su più punti diversi possibile. A fine giornata avremo il braccio stanco a causa delle continue “sbacchettate”, ma con l’aumentare dell’esperienza e dei waypoint, vedremo aumentare anche i calamari nella nostra vasca del vivo!