Filippo Salvetti Design l’abile mano che si cela dietro gli yacht Ferretti
Molti yacht designer hanno fatto della propria passione un lavoro. Per Filippo Salvetti, architetto, il percorso è stato inverso: specializzato in Design Industriale, dopo gli studi universitari cambia strada e comincia a disegnare barche. Ha talento e ad accorgersene è niente meno che Mauro Micheli di Officina Italiana Design. Con gli incarichi arriva anche il successo: oggi, in esclusiva per Ferretti Group, progetta imbarcazioni e riformula l’identità di storiche collezioni.
Da studente ha mai pensato che un giorno sarebbe finito a disegnare yacht di lusso?
In realtà no, però sono sempre stato attratto dal design di prodotto in generale, con particolare interesse per il car design. Ho studiato Architettura al Politecnico di Milano e mi sono specializzato in Disegno Industriale.
Una volta laureato, ho cominciato a lavorare nel mondo del product design, prima nello studio di un mio docente, poi alla Momo Design di Milano. Successivamente ho iniziato a collaborare quasi per caso con Officina Italiana Design, lo studio di Mauro Micheli e Sergio Beretta che cura in esclusiva il design di Riva.
E com’è andata?
Mi sono appassionato al mondo della nautica osservando Mauro mentre disegnava, cercando di imparare dai sui gesti. Ho lavorato con loro per 8 anni, dopodiché ho deciso di prendere la mia strada: con Marco Biaggi ho fondato la Neo Design.
Ora lo studio è diventato mio e Marco ha iniziato una nuova avventura nel mondo della nautica a vela alla Persico Marine.
Il suo portfolio parla da sé: ha disegnato barche per i due più grandi cantieri italiani, il Gruppo Azimut|Benetti e Ferretti Group.
Ormai da 3 anni lavoro in esclusiva con Ferretti, per la gamma Ferretti Yachts e Custom Line Navetta. Con Neo Design per Azimut ho ridisegnato tutta la gamma Atlantis, dai 30 ai 60 piedi, progettando interni ed esterni di oltre 10 modelli e disegnando, sempre per il gruppo, due superyacht di 55 e 67 metri in occasione della Benetti Design Innovation.
Nel 2014 ho iniziato la progettazione di un’intera gamma di yacht plananti dai 70 ai 120 piedi, per il cantiere Bugari di Fano, marchio storico conosciuto dagli addetti al settore per la produzione di navette.
Il primo modello realizzato è il Bugari 86, una barca dai contenuti incredibili.
Il progetto è nato sei anni fa dall’idea del CEO della Bugari Yachts GmbH, Peter Derfler, che spinse per disegnare la barca wide body nonostante la metratura ridotta. Il mercato gli diede ragione e, poco tempo dopo, arrivarono sul mercato barche dai 90-100 piedi wide body. Ora quasi tutti seguono questa strada.
I suoi progetti sono quindi destinati alla produzione in serie. Ma le capita mai di confrontarsi con l’utente finale dei prodotti disegnati da lei?
Il rapporto con il cliente è fondamentale quando si disegna un prodotto Custom, nel processo di ricerca ci si confronta con le sue esigenze, i suoi gusti, si cerca di entrare in empatia e di guidarlo nelle scelte. Nel prodotto di serie è meno importante e comunque all’interno dei cantieri ci sono figure che si occupano di raccogliere le impressioni dei clienti, utili per migliorare sempre di più il prodotto.
A volte capita, soprattutto ai saloni, di incontrare dei clienti e di discutere con loro sul prodotto che sono venuti a visionare.
È molto interessante perché si possono trarre degli spunti importanti. Il contatto con la clientela consente di integrare nei progetti nuovi le esperienze e le richieste degli armatori: ho incontrato un cliente, per esempio, a cui era piaciuto molto il Ferretti 670, ma voleva uno spazio in più per gli amici dei figli e così abbiamo trasformato la dinette, anche se comunque si trattava di una barca poco personalizzabile.
Se dovesse invece disegnare una barca per sé come sarebbe?
Mi piace vivere il contatto con il mare, per questo come filosofia preferisco la barca a vela alla barca a motore: mi piace il silenzio durante la navigazione, adoro fare windsurf e navigare in solitudine con i piedi praticamente nell’acqua. Comunque ammetto che quando esci in mare con una barca a motore disegnata da te, è sempre un’emozione forte.
Se dovessi disegnare una barca per me, credo che sarebbe una navetta o un explorer: più funzionali, anche se meno veloci. Non mi interessano le prestazioni, la velocità: preferisco il comfort, la trasformabilità e la versatilità del prodotto. Sicuramente una barca non troppo grande, dal design razionale e funzionale, disegnata per permettermi di vivere appieno le giornate in mare.
Mi piace pensarla con numerosi accessori opzionali che ti permettono di personalizzarla in base a come si vuole vivere il mare.
Il suo ultimo progetto è l’attesissimo Custom Line Navetta 30, che porta la sua firma per il design degli esterni.
Cosa ci dice di questa imbarcazione?
È un trideck con molti volumi e un bellissimo rapporto tra interni ed esterni.
È una barca versatile: l’armatore può viverla internamente o esternamente, in base all’utilizzo che ne vuole fare. Ci sono molti mobili trasformabili che possono essere adattati a seconda delle esigenze.
Gli interni sono stati disegnati dallo studio Antonio Citterio Patricia Viel. Dovrebbe debuttare a Cannes e speriamo bene!
La produzione ha rallentato leggermente a causa della chiusura forzata, ma era già a buon punto.
L’idea è comunque quella di presentarla alla fine dell’estate.
Stefano De Vivo, Chief Commercial Officer per Ferretti Group, ha dichiarato che la Navetta 30 esprime “una nuova dimensione di design” e segna “un fantastico passo in avanti nella ricerca del benessere assoluto dell’armatore e dei suoi ospiti”. Perché? Quali sono i contenuti di questa barca?
La Navetta 30 discende dalla Navetta 28, che a sua volta era il restyling della 26. Ma questa volta Custom Line ha deciso di puntare sui volumi, costruire uno scafo totalmente nuovo e creare una barca performante, anche a livello tecnico: per questo ha introdotto caratteristiche presenti nei modelli più grandi – parliamo di navi vere e proprie – a bordo della nuova entry-level (che comunque è sempre un 30 metri). La barca così è cresciuta di volumi, sia in altezza che in larghezza. Abbiamo dovuto lavorare molto sullo stile per cercare di rendere filante un prodotto che nasce svantaggiato dal punto di vista estetico, a causa del rapporto tra altezza e lunghezza: basti pensare che la Navetta 30 è 7 centimetri più bassa della Navetta 33, ma è più corta di 4,5 metri. Rispetto all’ammiraglia della gamma, la Navetta 42, è circa 13 metri più corta, ma solo 30 centimetri più bassa. Quindi abbiamo dovuto adottare una serie di accortezze: per esempio, abbiamo portato il profilo dello scafo fino all’upper deck, dividendo la vetroresina dell’upper deck in due, in modo tale da dare più importanza allo scafo. Abbiamo accorciato la caduta della sovrastruttura dell’upper deck, che non arriva fino a prua, diversamente dal resto della gamma: questo ha permesso di alleggerire il volume a prua e di slanciare la barca.
Questo progetto vuole presentarsi al mercato come un prodotto dal DNA classico, ma con stilemi e funzionalità del tutto reinterpretati, capace di aprire un nuovo capitolo Custom Line.
La versatilità, l’adattabilità del layout in base ai momenti della giornata, alle esigenze dell’armatore, la presenza di vere e proprie isole di privacy sono la chiave del progetto.
Lo stile è senza tempo: era quello l’obiettivo di Custom Line. È anche per questo che hanno affidato gli interni allo studio Antonio Citterio Patricia Viel: perché questa è la loro filosofia.
Insomma, un progetto molto impegnativo. Ma quali imbarcazioni le hanno regalato maggiori soddisfazioni?
I primi progetti. Sicuramente l’Atlantis 48: anche se sono passati parecchi anni, lo ritengo ancora oggi una barca molto bella.
È un progetto a cui sono molto legato: aveva delle linee nuove, accattivanti – infatti aveva destato molto interesse – e ha definito l’identità della gamma.
Era una barca aperta sul mare, praticamente un coupé con una poppa molto slanciata. Purtroppo è stato creato in un periodo particolare, quando si dava importanza più al brand Azimut che ad Atlantis, per cui non è stato molto spinto sul mercato.
Ha avuto delle belle vendite, ma forse con un prodotto del genere si poteva fare di più.
Forse il progetto che oggi sento più mio e che non vedo l’ora di vedere in mare è il Ferretti 1000, flagship del brand ora in costruzione.
Com’è lavorare con Ferretti?
Lavorare con Ferretti ovviamente mi dà molte soddisfazioni.
Sono arrivato in Ferretti a metà di un rinnovo gamma iniziato qualche anno prima dallo Studio Zuccon International Project. Il processo è pienamente riuscito e connotato da una chiara e forte identità stilistica che lega strettamente tra loro i nuovi modelli, ma non è stato facile: se cambi troppo, ti discosti dai modelli appena presentati; se non cambi, rischi di creare un déjà-vu e sentirti dire di aver creato qualcosa di già visto.
In questo particolare percorso guardare l’heritage, inteso soprattutto come patrimonio identitario del marchio, come processo evolutivo delle linee, è stato fondamentale, trattandosi di un marchio come Ferretti con più di 50 anni di storia alle spalle.
Abbiamo lavorato reinterpretando in chiave contemporanea gli stilemi per noi più caratterizzanti dei vari modelli storici e attuali: è così che sono nati il 670 e il 720.
Il 720 ha già dei tratti più decisi: abbiamo infatti abbandonato la forma caratteristica della vetrata di tuga, spingendo un po’ al limite il rapporto tra il profilo superiore del vetro, in rapida discesa, e il bordo inferiore perfettamente orizzontale, un gesto stilistico che ha reso la vetrata più dinamica e sportiva, mantenendo comunque il prodotto riconoscibile all’interno della gamma.
Lo stile a poco a poco sta cambiando, lo vedremo soprattutto con i prossimi modelli, dove il distacco è più evidente: il 500, in fase di completamento, e il 1000 che sarà l’ammiraglia e segnerà una nuova evoluzione.
Per quanto riguarda il futuro, i progetti su cui stiamo già lavorando, posso solo dire che avranno sempre più un design che tenderà in parte a cancellare i paradigmi precedenti, per cercare di rappresentare qualcosa di nuovo, ma nonostante gli elementi di rottura che ci potranno essere con lo stile precedente, molte caratteristiche Ferretti saranno mantenute.
Stiamo pensando al Ferretti del futuro.
FILIPPO SALVETTI DESIGN
www.filipposalvetti.it