La foca monaca, l’unica nei nostri mari e tra le più rare al mondo
Musetto simpatico, lunghe vibrisse e colorazione della pelliccia unica: la foca monaca è una delle più rare e anche l’unica presente nel Mediterraneo.
Meno di 500 esemplari e una lunga lista di pericoli mette a serio rischio una specie che, a discapito di tutto, è ancora presente lungo le coste italiane.
FOCA MONACA, L’ORIGINE DEL NOME
Scientificamente conosciuta come Monachus monachus, deve il suo nome alla sua particolare pelliccia: brunastra per quasi la sua totalità, sul ventre presenta una grande macchia più chiara – bianca nei maschi – di forma irregolare; alcuni dicono che somigli ai sai dei frati, altri alle vesti delle monache cristiane.
DURATA DELLA VITA E GESTAZIONE DELLA FOCA MONACA
Quale che sia la vera ragione dietro il suo nome, di certo c’è che la foca monaca è considerata una delle 100 specie di mammiferi più minacciate al mondo: la stima attuale presentata dal WWF è poco incoraggiante, con molto meno di 500 individui maturi.
La vita media delle foche monache si aggira tra i 20 e i 30 anni. Possono accoppiarsi per la prima volta quando raggiungono i 5-6 anni di età, solitamente nel periodo estivo e autunnale.
La gestazione di una foca monaca è lunga 11 mesi e al termine la mamma cerca un luogo solitario, appartato e tranquillo, come una spiaggia indisturbata o una grotta protetta, dove far nascere il suo unico cucciolo.
Sicuramente, a concorrere al declino numerico di questa specie nel Mediterraneo è anche la rumorosa presenza dei turisti e delle imbarcazioni da diporto: con il loro chiasso disturbano i siti di riproduzione, dove invece le foche vanno per trovare silenzio e tranquillità.
Il piccolo entra in acqua solo dopo lo svezzamento, quindi non prima delle 16-17 settimane di vita, durante le quali viene allattato.
Tutto avviene in quelle grotte, in quei piccoli anfratti o spiagge accessibili solo via mare, perché la mamma cerca la massima protezione in questo delicato periodo fuori dall’acqua. Può sembrare strano che si immerga per la prima volta così tanto tempo dopo la nascita, soprattutto se consideriamo come si muove a terra.
LA FOCA MONACA: GOFFA QUANDO SI MUOVE A TERRA…
Il corpo di una foca monaca è allungato e sembra un cilindro irregolare, ha uno spesso strato adiposo e un fitto pelo corto, vellutato e impermeabile: se proviamo a pensare a questa figura che si muove sulla terraferma, quindi, probabilmente la prima immagine che ci viene in mente è quella di un animale che si muove goffamente e in modo estremamente buffo.
Non siamo lontani dalla realtà: la foca monaca, come tutte le foche, si muove lentamente e in modo impacciato. Questo perché la conformazione del suo bacino non le permette di alzare il ventre da terra. Ciò non deve indurci a immaginare che si muova in modo così maldestro anche in acqua.
…MA AGILE IN ACQUA!
Nel suo elemento preferito, infatti, la foca monaca è agile e veloce e sfrutta al massimo queste caratteristiche quando va a caccia delle sue prede: anguille, piccoli tonni, aragoste e polpi, che predilige in modo particolare. Solitamente questo avviene tra i 10 e i 20 metri in profondità, ma si ritiene che siano in grado di immergersi fino a 100 metri sotto la superficie e di restare in apnea anche per 10 minuti. Queste capacità non ci devono stupire: basti pensare che le foche si spostano anche di decine di chilometri al giorno per cercare cibo.
Le leggende sulla foca monaca non si limitano a quelle che aleggiano intorno al suo nome. Infatti, ne esistono numerose anche riguardo la sua dieta: secondo alcune testimonianze, si ciberebbe anche dell’uva dei vigneti in prossimità della costa. Ovviamente, in assenza di evidenze scientifiche solide, questo rimane solo uno dei miti che contribuiscono a rendere così speciale questa rara specie.
COSA MINACCIA QUESTE SPECIE?
La sua diffusione nel Mediterraneo un tempo era molto superiore rispetto a quella che è oggi, ma l’ostilità perpetrata nei suoi confronti da parte dell’uomo, in particolare dai pescatori che la vedevano come un loro nemico, ha portato il Mar Egeo e il Mediterraneo orientale ad essere oggi le sue principali aree di presenza. A concorrere agli sviluppi tragici della situazione non sono stati solo i pescatori che volevano liberarsi di un rivale scomodo e temibile, ma anche chi cacciava le foche per ottenerne pelli e grasso, trasformato successivamente in olio.
Potremmo pensare che queste siano le usanze antiche di popoli a noi lontani nel tempo, ma sarebbe un grave errore: in alcune aree ancora avviene la persecuzione delle foche, che vengono uccise, nonostante oggi sia illegale. Non meno grave è il problema della cattura accidentale con le reti da pesca.
Questi comportamenti da parte degli uomini non solo hanno ridotto il numero di esemplari e le zone in cui sono presenti, ma hanno anche favorito il tipico atteggiamento diffidente e schivo delle foche monache.
Le osservazioni che se ne fanno oggigiorno sono quasi sempre di esemplari solitari o di femmine con il proprio cucciolo. La loro tendenza alla solitudine o, al massimo, a essere parte di gruppi molto limitati sembra essere una conseguenza della loro rarefazione, più che un tratto del loro carattere. Ciononostante, lungo la costa atlantica dell’Africa è ancora possibile osservarne gruppi fino a circa 60 esemplari.
Non per questo bisogna perdere di vista il fatto, però, che anche l’inquinamento, la diffusione di plastiche e detriti nelle acque costituisca un altro problema, che va ad aggiungersi alla già lunga lista delle minacce per la foca monaca.
L’IMPEGNO DEL WWF PER LA TUTELA DELLA FOCA MONACA
Fortunatamente, il WWF e il WWF Italia sono solidi punti di riferimento per la salvaguardia di questa specie e per la preservazione della biodiversità nel Mediterraneo.
Già dal 1976, anno dell’istituzione del Gruppo Foca Monaca, esiste un grande interesse sul tema della conservazione di questa specie: si voleva, già allora, promuovere la tutela di quegli ultimi nuclei di foche che erano rimasti in alcune località italiane. Il Gruppo lavora ancora a pieno regime: nell’Agosto del 2021, ad esempio, ha organizzato a La Maddalena la Settimana della foca monaca; un corso di approfondimen- to destinato a studenti di biologia, appassionati e curiosi. Tutti, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa per aiutare questa specie in via d’estinzione.
Tra le attività portate avanti, c’è anche la promozione di una pesca sostenibile che riduca – fino a eliminare, si auspica – le catture accidentali, che pure sono motivo di preoccupazione nell’ottica della sopravvivenza della specie.
Molti volontari, ancora oggi, si impegnano ad alimentare la consapevolezza che la foca monaca vive ancora, seppure in pochissime località, lungo le coste italiane. La raccolta di costanti segnalazioni – provenienti per lo più dalla Basilicata, dalla Sicilia e dalle isole del Tirreno – il monitoraggio e le riprese via webcam permettono di seguire con attenzione l’evolversi della presenza delle foche lungo le nostre coste.
Gli avvistamenti costanti, l’interesse e l’attenzione mai sopiti fanno sperare che un giorno riusciremo a ricreare le condizioni affinché questa specie così rara torni stabilmente nei nostri mari.
E un primo segno potrebbe essere quel cucciolo avvistato e ripreso sulle coste salentine negli scorsi anni, probabilmente nato proprio in un luogo sicuro e silenzioso in quelle zone del nostro Paese. Forse, voleva dirci che stiamo andando nella direzione giusta. Ma servono ancora tanto impegno e tanto lavoro.