Fulvio De Simoni, il passato e il futuro dello yacht design
Lei ha firmato oltre 3.000 imbarcazioni nella sua carriera ed è riuscito a farlo senza mai ripetersi, mantenendo comunque la sua cifra stilistica.
Sì, ho sempre cercato di lavorare con questo obiettivo. Però le faccio un esempio. Consideravo i Pershing come imbarcazioni sportive con soluzioni che consentivano un certo tipo di vita a bordo; poi, pian pianino ho dovuto adeguarmi e allargarle, alzarle, renderle un po’ più aderenti alle richieste del cantiere e anche alla domanda dei clienti. Di questi tempi, più del 50% delle persone che acquistano imbarcazioni medio-grandi lo fa senza avere nessuna esperienza di mare. Le comprano in un pacchetto, insieme all’equipaggio; un po’ come se si stessero costruendo quello che nel Settecento era il castello. Una volta, le persone si affacciavano a questo mondo acquistando la barca di 8,9 metri e poi, a poco a poco, ne compravano di più grandi; ora, invece, esiste una gran parte di clientela che vuole l’imbarcazione di 60 metri e non è mai neanche andata per mare.
Magari è bello, non lo so, comprare una grande barca, prendere l’equipaggio, navigare e vedere il mondo in un modo diverso da quello convenzionale. Però spesso ci troviamo a discutere con il comandante perché l’armatore non sa nulla di nautica e manda lui a fare le sue veci, dando una serie di indicazioni su come vorrebbe la barca. È cambiato tutto, la clientela è diversa e i cantieri, così come i designer, si sono dovuti adeguare.
E in questo mondo che cambia, sulle barche che lei firma cos’è che non manca mai?
Io cerco sempre di far nascere, tutte le volte che posso, l’esterno della barca insieme con l’interno. Ecco, per me il progetto è qualcosa di tutto intero: i percorsi, le disposizioni, le altezze nascono insieme ai ponti e alle forme esterne. Quindi, devo dire che mi trovo un po’ in imbarazzo quando mi pongono davanti allo scafo e mi chiedono di lavorare su quello. Per me è una limitazione perché mi porta a dover ragionare e lavorare in modo differente. La barca va progettata tutta insieme, come un’automobile, penso che sia fondamentale.
Se si perde di vista questo, le imbarcazioni si svuotano della passione e dell’identità.
Una curiosità. Tra tutte quelle che ha disegnato qual è la barca che terrebbe per sé?
Io ho un’imbarcazione mia, una Antago 21, che ho disegnato 30 anni fa. Offre una vita comoda a bordo e ha tutto quello che occorre, pur essendo, per i tempi in cui nacque, una barca elegante. La vedo come un modello ancora a lunghezza d’onda di una persona normale. Si può guidare senza particolari problematiche e rispecchia abbastanza il mio modo di vedere la vita di bordo.
Se invece parliamo di sentimenti, tra le barche a cui sono affezionato spicca il Pershing 88. È stata una pietra miliare della mia carriera e mi dà ancora tanta soddisfazione: a tutt’oggi, tutti gli esemplari che sono in giro vengono sempre restaurati e tenuti in ordine, come una macchina d’epoca che si conserva e si rispetta per la linea senza tempo. Tant’è vero che ha un valore ancora molto elevato nonostante gli anni.
Volgendo lo sguardo a quest’anno, quali sono i progetti all’orizzonte?
Sto lavorando in modo molto intenso con il cantiere Rossinavi, disegnando imbarcazioni di 60, 65, anche 70 metri; diciamo che mediamente sono quasi tutte ibride, diesel-elettriche. Poi ho appena finito di progettare una barca per un cliente americano: si tratta di una discreta soddisfazione personale, perché è un cliente che già possedeva una mia barca. Il cantiere che a suo tempo la realizzò non esiste più, quindi lui ha cercato me per progettare la sua nuova imbarcazione. In questo momento stiamo vagliando le offerte dei cantieri per l’acquisto.
Infine, sto continuando a collaborare con Austin Parker, il cantiere di un vecchio amico con cui realizziamo barche di piccole dimensioni. Sono evoluzioni dei vecchi lobster, e la gamma comprende imbarcazioni di 40, 50, 60, 70, 80 piedi, in piccola produzione. Questa realtà mi permette di mantenere i rapporti com’erano un tempo nella nautica: parli con il cliente, magari discuti del progetto a tavola perché così non si perde tempo. Mi piace perché mi riporta per qualche giorno al mese in una situazione che trovo più congeniale.
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