Il battito d’ali nella pancia: intervista a Francesca Bardelli Nonino
Sei una giovane donna, cresciuta in una famiglia in cui è la normalità essere donne imprenditrici. Purtroppo, però, non è ancora così scontato. Com’è stato farti strada in questo settore, sia come donna che come portatrice di novità?
All’inizio non mi ero resa conto che questa fosse una problematica. Basti pensare che abbiamo avuto la prima donna Mastro Distillatore in Italia: la mia bisnonna Silvia Milocco Nonino, rimasta vedova del mio bisnonno Antonio Nonino durante la Seconda Guerra Mondiale, ha dovuto imparare a distillare ed è stata la prima donna a capo di una distilleria. Era come se fosse scritto nel nostro destino.
Inizialmente, avere così tanti esempi di donne in famiglia è stato importantissimo e doloroso insieme. Doloroso perché non mi aspettavo di subire un trattamento diverso in quanto donna: a differenza di altri miei colleghi uomini, mi è capitato di essere stata trattata come inesperta o non professionista fino a prova contraria. Era un atteggiamento che non riuscivo proprio a capire perché questa realtà non esiste a casa mia.
D’altra parte è stato bellissimo e importante perché mi ha dato la forza di reagire: mi ha dato ancora più pepe, mi ha fatto decidere che avrei obbligato tutti a trattarmi come gli altri, come la professionista che sono. Tutto questo mi ha spinto a studiare ancora di più per ottenere certificazioni che altrimenti non avrei preso: sono diventata sommelier WSET di 3° livello nel mondo del vino proprio perché volevo dimostrare, semplicemente dando il mio biglietto da visita, che sono una professionista del settore.
Durante il tuo discorso al TEDx, dietro di te campeggiava la scritta “la pecora nera”, che è come dici di esserti sentita nella tua famiglia. Hai toccato un argomento molto attuale: avevi delle capacità più vicine a quella che ora sappiamo riconoscere come intelligenza emotiva e le avevi in un mondo come quello odierno, che guarda solo alle capacità produttive in senso stretto. Cosa diresti a chi si affaccia al mondo del lavoro ora, a chi magari ha un’azienda di famiglia oppure vorrebbe seguire un percorso simile al tuo?
Prima di tutto, di credere in sé stessi e non sottovalutare il proprio talento. Abbiate il coraggio di darvi una possibilità e anche di avere nuovi punti di vista, perché non bisogna vedere a tutti i costi il mondo come lo vedono gli altri. Anzi, a volte è proprio con una prospettiva diversa che si arriva al successo e anche concepire il talento in modo non convenzionale può fare la differenza. Credo anche che si debba cercare di non sentirsi mai arrivati: quando si ha una curiosità, quando si ha quel battito d’ali nella pancia, che ti spinge ad approfondire un argomento, bisogna farlo. Anche se in quel momento può sembrare lontano dal percorso lavorativo che si sta affrontando o dal futuro che si immagina. Sono dell’idea che anche conoscenze veramente diverse tra loro siano molto più legate di quanto si immagini e che rispondere alla propria curiosità può portare in posti che prima non avremmo mai pensato possibili.
Guardando al tuo futuro, quali sono i tuoi prossimi obiettivi? A livello lavorativo e comunicativo.
A livello comunicativo e lavorativo c’è un solo grande obiettivo: trasparenza in etichetta, trasparenza in etichetta, trasparenza in etichetta. Riuscire a far capire che è fondamentale indicare il nome del distillatore e, se diverso, anche quello dell’imbottigliatore. Far sì che non esistano più termini di comunicazione fuorvianti. Bisogna indicare quando una grappa ha del caramello per darle colore oppure no, permettere numeri in etichetta che indichino solo e soltanto i mesi di invecchiamento e non altri termini che traggano in inganno.
Vorrei che diventasse obbligatorio perché altrimenti tutto il lavoro dei miei nonni per dare questo volto alla grappa potrebbe essere compromesso, e così anche il Made in Italy come garanzia di qualità. Sono contenta perché la mia battaglia sull’etichetta era nata con due articoli su LinkedIn scritti per dare le informazioni necessarie a capire se una grappa è artigianale e invecchiata, e sono arrivata a essere invitata al Ministero dell’Impresa e del Made in Italy a parlare di queste problematiche. Per me è stato incredibile perché ho pensato che veramente potremmo far muovere qualcosa. Io spero questo e poi quello che vorrei, ma la strada è veramente ancora molto lunga, è creare il mio distillato.
LA GRAPPA NONINO E LA BATTAGLIA PER LA TRASPARENZA IN ETICHETTAFrancesca Bardelli Nonino porta avanti da anni la battaglia per la trasparenza in etichetta. La legge, infatti, non tutela completamente né i produttori né i consumatori, che potrebbero essere fuorviati da piccoli dettagli, capaci di fare tutta la differenza. Nel suo articolo su LinkedIn per riconoscere una vera grappa artigianale, Francesca spiega in 3 punti a cosa bisogna fare attenzione: 1 Per legge è facoltativo e non obbligatorio indicare il metodo di distillazione. Cosa significa? Che chi distilla con metodo artigianale lo scriverà perché rappresenta un valore aggiunto per il suo prodotto, mentre la grappa ottenuta da distillazione industriale semplicemente non presenterà diciture in merito, lasciando il consumatore con il dubbio. 2 Se in etichetta c’è scritto “distilleria artigianale” non è garanzia di niente: possedere una distilleria artigianale, e poterlo scrivere sull’etichetta, non significa che la si utilizzi. Molti la usano come leva di marketing perché migliora la percezione del prodotto, ma è possibile avere una distilleria artigianale e imbottigliare e vendere grappa industriale. 3 “Prodotta e imbottigliata da…” e “Distillata e imbottigliata da…” sono due cose molto diverse. La legge, infatti, individua come produttore chi effettua l’ultima trasformazione del prodotto, quindi anche chi miscela o diluisce grappa distillata da qualcun altro risulta un produttore. “Prodotta e imbottigliata da…” rivela solo l’origine di chi ha imbottigliato la grappa, non di chi l’ha distillata. |
NONINO DISTILLATORI
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