Il contratto di ormeggio: la responsabilità delle marine
Nelle precedenti edizioni avevamo già affrontato il tema del contratto di ormeggio e delle obbligazioni di custodia dei porti turistici e delle marine, soffermandoci su alcune recenti sentenze di maggiore rilievo. Il tema è sempre attuale e la giurisprudenza è in evoluzione sul punto, pertanto appare utile tornare in merito dopo circa due anni, allo scopo di aggiornare le considerazioni svolte in precedenza.
IL CONTRATTO DI ORMEGGIO: DEPOSITO O LOCAZIONE?
Nel diritto italiano il contratto concluso tra il gestore del porto turistico (o marina) e il cliente, non trovando alcuna specifica regolamentazione né nel codice civile né in quello della navigazione (che si limita a dettare norme sulla professione di ormeggiatore – art. 116, comma 1, n. 4, cod. nav. e 208 ss. reg. nov. mar.), è normalmente inquadrato come un c.d. contratto di ormeggio, ossia un contratto atipico caratterizzato da una struttura minima essenziale consistente nella messa a disposizione e utilizzazione delle strutture portuali e assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo.
Esso trova ingresso nell’ordinamento in forza del principio di autonomia contrattuale tra le parti contraenti, sancito dall’art. 1322 del codice civile, secondo cui le parti sono libere di dare attuazione ai propri diritti e interessi meritevoli di tutela attraverso ipotesi innominate di contratti o la modifica delle figure contrattuali tipiche preesistenti. Quando una parte degli elementi liberamente scelti dalle parti del contratto di ormeggio si fonde con quelli tipici del contratto di deposito sarà possibile applicare alla fattispecie contrattuale la disciplina prevista per il contratto di deposito; infatti, dall’oggetto del contratto atipico, o misto a seconda dei casi, dipenderà l’applicazione della relativa disciplina.
Se il contratto di ormeggio ha a oggetto la semplice messa a disposizione e utilizzazione delle strutture e degli spazi portuali, trova applicazione la disciplina della locazione; qualora invece a tali servizi si aggiungano la custodia e la vigilanza dell’imbarcazione, l’accordo sarà assimilabile al contratto di deposito, con applicazione della relativa disciplina.
In tal senso è orientata anche la giurisprudenza, la quale ritiene che il contratto di ormeggio in aree protette per sosta e ricovero di imbarcazioni deve essere inquadrato nello schema del deposito di una cosa mobile di cui agli artt. 1766 e seguenti del codice civile (App. Venezia 22/10/1977). Il contratto deve avere forma scritta e viene regolato dalle parti a seconda delle proprie esigenze.
L’ONERE DELLA CUSTODIA
Molto discusso in giurisprudenza è il tema dell’onere di custodia in capo alla marina.
Il contratto di ormeggio non prevede anche la custodia della barca, a meno che tra i privati non venga stipulata un’apposita clausola. Ciò è previsto da una recente pronuncia della Corte di Cassazione ed è esplicitato nella ordinanza n. 27294/22.
La vicenda alla quale si riferisce l’ordinanza scaturisce dall’impugnazione di una sentenza del tribunale di Napoli (n. 8671/21) da parte del proprietario di una imbarcazione; la sentenza aveva accolto il ricorso sollevato dalla società con la quale aveva stipulato il contratto di ormeggio. Il privato – titolare dell’imbarcazione – ha impugnato la sentenza dei giudici di merito chiedendo un risarcimento per i danni derivanti da omessa custodia della sua barca ormeggiata nel porto di Siracusa.
Secondo il privato proprietario dell’imbarcazione ormeggiata, infatti, il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che nel contratto di ormeggio non fosse previsto alcun obbligo di custodia anche in funzione dell’ingente somma dal medesimo elargita alla marina. Tuttavia, la Corte di Cassazione, riprendendo un filone giurisprudenziale di alcuni anni prima, ha chiarito che il contratto in questione, pur rientrando nella categoria di quelli atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale, “consistente nella semplice messa a disposizione e utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo“. Il contenuto del contratto di ormeggio può, tuttavia, estendersi anche ad altre prestazioni, quali la custodia del natante o delle cose in esso contenute, ma in questo caso spetta a chi fonda un determinato diritto fornire la prova della specifica convenzione.
Di fatto, la prova non poteva che essere fornita mostrando una precisa statuizione contrattuale da cui emergesse un obbligo di custodia dell’imbarcazione assunta in capo alla marina.
In ogni caso, questo precedente non deve far ritenere che la marina vada sempre assolta da ogni responsabilità. Nel caso in cui, infatti, si verifichi un danneggiamento o un furto di una imbarcazione all’interno delle proprie aree, la marina può essere ritenuta responsabile. Oltre alle ipotesi di colpa grave, al fine di liberarsi dalle responsabilità per il danneggiamento o la distruzione di un natante sotto la sua custodia, il concessionario di ormeggio deve provare non soltanto di avere usato la diligenza qualificata prescritta per quel tipo di attività, ma anche che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile.
L’assenza di colpa in vigilando da parte del custode si prova dimostrando che i danni alla cosa sono occorsi per una causa o evento non riconducibile allo stesso o alle aree o dotazioni dal medesimo fornite e che il fatto da cui deriva il danno non era astrattamente prevedibile usando la diligenza specifica e qualificata richiesta. La responsabilità può essere accertata solo con un apprezzamento difficilmente prevedibile a priori, che è rimesso interamente alla prudente valutazione del Giudice.