Il trattamento con vernici antivegetative alle carene di imbarcazioni da diporto
Come tutti gli anni, è tempo di “tirar fuori” dai polverosi rimessaggi i gioiellini in vetroresina che hanno riposato durante i mesi invernali, completare gli ultimi accorgimenti, controllare le dotazioni di sicurezza (mai dimenticare di dare uno sguardo attento agli estintori, ai razzi, al kit medico e alle zattere di salvataggio) e – come direbbero i nostri cugini francesi – “enlever les amarres” o più semplicemente “mollare gli ormeggi” e partire verso nuovi porti, nuovi mari e nuove mete.
A tal riguardo, nella mia esperienza di consulente nautico, ho avuto modo di notare che gli armatori diventano progressivamente sempre più preparati al punto che riescono ad instaurare un vero e proprio contraddittorio costante col proprio rimessaggio di fiducia, chiedendo questa o quella attenzione particolare affinché la propria barca sia sempre “al Top” prima di entrare in acqua. Ciononostante è sempre bene richiamare l’attenzione su alcuni piccoli accorgimenti che potrebbero (il condizionale è d’obbligo!) “scappare” dalla lista lavori o – in alcuni casi – non essere eseguite al meglio. Mi riferisco ai trattamenti di antivegetativa alla carena. Scrivo questo editoriale, proprio ispirato dal fatto che, durante l’ultima perizia effettuata ad un armatore in procinto di acquistare una bella ed importante imbarcazione di 18 metri e mezzo, mi sono accorto che, sebbene la barca apparisse come nuova (nonostante le dieci stagioni trascorse nel Mediterraneo), nell’opera viva di carena si nascondeva sotto un lucido strato di antivegetativa appena applicata una vecchia coltre di precedenti trattamenti mai rimossi in precedenza. In pratica, la barca era stata sì trattata con l’antifouling ogni anno, ma senza mai rimuovere gli strati precedenti. Chissà quanti nodi aveva perso nel tempo quella barca!
Ma facciamo un passo indietro: cosa sono le antivegetative?
Le antivegetative sono essenzialmente delle vernici che contengono al loro interno gli ossidi di alcuni metalli che vengono detti biocidi in quanto la loro azione è quella di “uccidere” i micro-organismi che proliferano e si sviluppano sulle carene, sugli assi, sulle eliche e su tutto ciò che della barca è immerso sott’acqua. I famosi “denti di cane”, ad esempio, sono dei veri e propri organismi viventi (crostacei denominati “balani”) che pullulano sulla superficie delle carene immerse e si rendono responsabili della drastica diminuzione delle prestazioni dell’imbarcazione e del conseguente aumento dei consumi di carburante. Questi “mostruosi” e maleodoranti esseri (li avete mai osservati a qualche centimetro di distanza?), infatti, si attaccano su tutte le superfici immerse e, senza entrare nello specifico di ridondanti spiegazioni troppo tecniche, fanno aumentare sensibilmente la resistenza allo scorrimento del natante.
Per tale motivo, l’armatore per ottenere parità di prestazioni (nella velocità di crociera ad esempio, rispetto alla stagione precedente) non potrà far altro che “abbassare le manette”, mentre – al contempo – potrebbe notare che la vecchia velocità di punta non sarà più raggiunta per quanto sforzo stiano facendo i motori. In altre parole, se non si tiene bella liscia e pulita la carena, si avranno barche più resistenti all’acqua e conseguentemente prestazioni meno spinte e consumi più elevati. Per tale motivo, dicevamo, vengono applicate (su carene trattate!) queste vernici che contengono ossidi metallici che limitano drasticamente l’attecchimento e la riproduzione di alghe e balani. Purtroppo (o per fortuna, dipende da come la si vede) gli ossidi metallici sono inquinanti, per cui, le antivegetative di nuova generazione non contengono più ne piombo ne stagno (molto efficaci come biocidi), ma ossidi di rame (leggermente meno inquinante) in minore concentrazione.
L’industria delle vernici, a tal riguardo, negli ultimi anni ha addiritttura sviluppato una linea di prodotti eco-friendly che contengono delle particelle di carbonio, non troppo ostili in tema di sostenibilità ambientale. Nell’immagine in figura, uno dei prodotti d’elezione per il trattamento antifouling nei cantieri nautici italiani e non solo. Accanto all’antivegentativa Admiral 933, a marchio Boero, è sempre consigliabile trattare la carena con il primer epossidico (nello caso specifico è il prodotto chiamato Defender) che protegge ulteriormente contro il problema dell’osmosi in opera viva (cfr precedenti editoriali). Un’altra notazione importante. L’Admiral 933 è un’antivegetativa che viene definita “autolevigante”.
Cosa significa precisamente?
Queste vernici vengono raggruppate in due grosse categorie: a matrice dura o a matrice, appunto, autolevigante. Ciascuna delle due classi presenta alcuni specifici vantaggi. Le antifouling “a matrice dura” non si consumano nell’acqua e si sporcano più facilmente. A fine stagione i risultano difficili da rimuovere, proprio in virtù della durezza superficiale, e sono indicate per le barche “veloci”. Per imbarcazioni “da crociera”, invece, è possibile applicare le autoleviganti che, per l’appunto, si consumano (nell’ordine dei micron) man mano che la barca naviga restando facilmente più pulite di quelle a matrice dura.
Per tale ragione, le antivegetative autoleviganti sono da preferire quando le prestazioni dell’imbarcazione non sono “da competizione” proprio perché oltre all’azione biocida chimica degli ossidi, la rimozione meccanica dello strato superficiale consente di eliminare i microorganismi e di mantenere inalterate prestazioni e consumi per tutta la stagione. In ultimo, ma non per importanza, voglio sottolineare che – in caso di scafi metallici – non è consigliabile applicare trattamenti di antivegetative che contengono ossidi di rame o di qualunque altro metallo. Stessa cosa dicasi per gli elementi metallici presenti in carena, per i quali vanno adoperate antivegetative appositamente studiate. La controindicazione, infatti, potrebbe essere l’insorgenza di fenomeni ossidativi e corrosivi che in alcuni casi potrebbero compromettere seriamente l’integrità strutturale degli elementi succitati a causa dell’innesco di correnti galvaniche che possono nascere dal contatto di metalli diversi.