Intervista all’Architetto Matteo Picchio: la cultura del mare
«Il marinaio chiede allo yachtman: ‘Signore desidera prender il timone?’ ‘No grazie, non prendo mai nulla tra i pasti’. Questa citazione è di Carlo Sciarrelli, tratta dal suo famoso libro ‘Lo Yacht’, e riflette un po’ quello che dovrebbe essere l’uso di uno straordinario oggetto come uno yacht» ci racconta Picchio. Nell’intervista ricostruiamo insieme il percorso dell’Architetto Matteo Picchio, che descrive ogni progetto con entusiastica gioia e ci trasporta nel mondo affascinante e senza tempo dello Yachting Classico.
Chi nasce su un Dinghy acquistato dal nonno nel 1953 non può che fare del mare la propria vita. È così che Matteo Picchio inizia il suo percorso nel mondo della nautica e lo continua con la prima esperienza progettuale all’inizio degli anni ’90: il refitting del Raireva, il suo ketch di 14 metri. L’attività prosegue poi tra il restauro di barche d’epoca dal pedigree immacolato e il refitting di importanti yacht.
Oggi, il suo studio di Milano, fondato nel 1996, è famoso a livello internazionale sia per l’architettura sia per lo yacht design. La sua filosofia progettuale si contraddistingue per l’equilibrio tra l’eleganza e la funzionalità: questo binomio deriva dal massimo rispetto della tradizione e al contempo dalla ricerca di nuove tecniche, materiali e forme, che lo portano a plasmare ambienti con linee semplici, pulite e mai casuali, ma che trasmettono grande piacevolezza e voglia di viverli.
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Il suo studio è diviso in due settori diversi: yacht design e architettura. Le capita di collegare in qualche modo i due mondi?
Il mio studio si avvale di architetti, ingegneri navali e designer, ma la mia matita rimane una sola. Come metodo ho scelto volutamente di impastare i due ambiti progettuali. Il mio approccio è sempre architettonico; l’architettura è arte, ma a differenza di altre forme artistiche deve tener controllati i concetti di funzionalità e di rispetto delle esigenze del cliente, nonché il budget e i tempi di realizzazione dell’opera.
Mi capita di trasferire sulle barche le soluzioni trovate per le case e viceversa. In campo navale lavoriamo sia al restauro di barche d’epoca e classiche sia alla progettazione di barche a vela e a motore di concezione modernissima.
In campo architettonico realizziamo progetti di ville, interni di appartamenti e restauri di palazzi storici. Ci è capitato di progettare la casa per gli stessi committenti di uno yacht e anche l’opposto.
Di questi due settori, ce n’è uno che preferisce? E perché?
Preferisco progettare le case dal punto di vista della creatività, perché il foglio è “più bianco”. Con le barche si è necessariamente su un binario e, in particolare con le barche d’epoca, si hanno vincoli enormi. Il progetto spesso è più compilativo e meno creativo. Alcune volte, più inventi e ti distacchi dalla tradizione, più sbagli. Ma lo studio ti consente di gestire il progetto, il cliente e il cantiere.
Nei restauri non inventiamo tanto, ma con umiltà ci impegniamo a seguire un percorso già tracciato e delicatamente a ricomporne i bordi e la trama. Occorre essere uno strumento che dà la possibilità a un’antica gloria di continuare a vivere.
Matteo Picchio tra tutti i suoi lavori troviamo principalmente restauri di barche a cui lei, con importanti lavori di restyling, dà nuova vita. Questa scelta dove affonda le sue radici?
Ho passato mesi a lavorare sulle barche di mio padre, a frequentare i cantieri in particolare Sangermani. Cesare Sangermani mi ha dato tantissimo, mi ha insegnato una quantità indicibile di segreti. Le barche a vela o a motore, nuove o antiche, sono diventate per me un’opera d’arte, su cui ho la fortuna di poter mettere la mia matita. Ho studiato molto, non a scuola, ma per conto mio e ho avuto anche la fortuna di attraversare l’Atlantico a bordo dell’Amerigo Vespucci, dove ho imparato e assimilato molta arte marinaresca classica.
Quando affronto un progetto, lo faccio sempre con molto rispetto. C’è l’aspetto professionale, anche economico, ma soprattutto il piacere di partecipare a un percorso che farà poi navigare una barca. Trovo che sia anche molto più in linea con l’attuale e tanto citata sostenibilità: ridare splendore a un’antica, o semplicemente vecchia, gloria, piuttosto che demolirla e produrne una nuova.
Uno dei progetti di restauro più recenti è il Tabua, un ex peschereccio atlantico varato in Portogallo nel 1975. Ci può raccontare di più?
Una costruzione straordinariamente pregevole, realizzata in Portogallo per la pesca in nord Atlantico. Poppa norvegese, fasciame in iroko, ossature magistralmente lavorate a costituire madieri, ordinate, bagli in legno di sezioni che impressionano per la grandezza. L’armatore attuale l’ha acquistata in piena pandemia, all’inizio dell’inverno del 2021, dopo che era stata lasciata in abbandono per tanti anni. Si trattava di renderla in pochi mesi lo yacht dei suoi sogni: la sfida, apparentemente impossibile, era quella di permettergli di utilizzarla per la stessa estate; cosa che, invece, con il grande impegno progettuale e di direzione lavori del mio studio, unito all’ottimo lavoro svolto dai Cantieri Navali di Sestri, è stata possibile.
Splendida navetta classica di 20 metri, dai volumi generosi, con un enorme ponte sole e zona prodiera dedicata alla timoneria di controplancia; tavolo con le sedute all’ombra di un tendalino che abbiamo progettato su centine tubolari metalliche; infine, un ponte libero di circa 40 mq che sembra quello di una barca nettamente più grande.
Ampio quadrato, cucina e plancia, oltre al pozzetto di poppa sul ponte principale, mentre sottocoperta tre ampie cabine, ognuna col rispettivo bagno e la zona equipaggio con relativi servizi. è una navetta affascinante, in legno, fuori dal tempo e quindi (anche dal punto di vista del valore) intramontabile.