Intervista all’Architetto Matteo Picchio: la cultura del mare
Tra i progetti più famosi, invece, c’è la conversione a yacht del Maria Teresa, un ex rimorchiatore di 24 metri del 1962. Cosa ci può dire di questa imbarcazione e perché, secondo lei, ha riscosso così tanto successo?
Gli Explorer Vessel sono una nuova tendenza in campo diportistico e rappresentano il sintomo di una maggiore consapevolezza del patrimonio storico-navale. Il rimorchiatore Tenace (oggi Maria Teresa) era stato costruito dai Cantieri Solimano di Savona e aveva lavorato nel porto di Genova; sul finire della sua carriera è stato acquistato da una compagnia monegasca.
I miei clienti lo hanno rilevato al prezzo del ferro poco prima che andasse in disarmo. Siamo riusciti a salvare il fasciame e alcuni dettagli d’epoca come gli oblò. La tuga è stata modificata per uso diportistico, mentre il motore, gli interni e gli impianti sono stati completamente rifatti. I lavori sono stati eseguiti con buona maestria presso i Cantieri Navali di Sestri, che, grazie anche al nostro progetto estremamente dettagliato e all’attenta direzione dei lavori, hanno rispettato il budget prefissato – dettaglio non trascurabile.
Un altro progetto che mi ha molto affascinato e coinvolto è stato il progetto di conversione e restauro del rimorchiatore Ursus, ex Cipola, acquistato dalla Marina Militare degli Stati Uniti come “YT-466”. Era stato realizzato e varato nel 1940, ad Avondale Marine Ways, negli USA. I lavori di refitting, che per la maggior parte delle carpenterie sono stati effettuati presso il cantiere Amico & Co di Genova, si stanno concludendo ora presso la Navalmeccanica Costruzioni Navali a San Benedetto del Tronto, che in maniera magistrale ha eseguito il nostro progetto di allestimento.
Barche d’epoca, rimorchiatori, pescherecci. Quanto sono apprezzati oggi nel mercato?
Chi conosce davvero il mare, apprezza la navigazione in maniera colta. Facilmente sceglie una ex nave da lavoro, e non solo per le innate caratteristiche di ottima tenuta di mare, ma anche nel rispetto di un mezzo che navigava professionalmente, mimetizzato tra le barche degli autentici uomini di mare. Ovviamente, questa scelta non esclude che con il progetto e i lavori si possa ottenere uno yacht di elevato profilo qualitativo. Oggetti di valore storico che non tramontano mai. C’è sempre un appassionato che, disponendo di ampi mezzi e potendosi permettere uno yacht nuovo di zecca, preferisce cercarsi un pezzo di storia e, amorevolmente, restaurarlo.
Il vero lusso è disporre di una barca come quella che ho risistemato recentemente: un 30 metri d’epoca con gli spazi di un 15 metri moderno, un pezzo unico. Il massimo dell’esclusività.
Lo sviluppo di un progetto relativo a una barca già esistente richiede una particolare attenzione o un percorso differente rispetto a un progetto che parte da zero?
L’approccio al progetto di uno yacht, che sia una nuova costruzione, un refit o un restauro, è sempre lo stesso: capire quali siano le linee guida più adatte, considerando le esigenze del proprio cliente. Si tratta, inoltre, soprattutto se si parla di uno yacht già esistente, di focalizzarsi sulle sue origini storiche tradizionali. Questo vale anche per la progettazione di un nuovo yacht: ci deve sempre essere un rimando, anche se apparentemente poi risulta invisibile, con la tradizione marinaresca; diversamente si otterranno oggetti che mi trovo in difficoltà a chiamare “yacht”. Penso che un tema come quello dello yachting vada affrontato come un fenomeno culturale, direi quasi nobile. Le barche da diporto non sono solo una forma di divertimento, un modo di fare turismo o una pura ostentazione; se si decide di andare in Corsica su uno yacht invece di usare un mezzo più pratico, si sceglie di accettare una scomodità per essere ripagati dal fascino della navigazione. Spesso capita di ripercorrere antiche rotte commerciali o di incrociare bracci di mare dove si sono svolte battaglie navali che hanno determinato la storia moderna. Navigare significa anche rievocare la storia della marineria.
A proposito di progetti che partono da zero, lei ha anche progettato alcune imbarcazioni. Le possiamo definire delle “sfide personali”?
Sì, tutti i progetti sono delle sfide. Certo, uno yacht che nasce da zero lo è ancora di più. Lo sloop MP 100 è un megasailer di 48 metri. Abbiamo depurato le sue forme fino a raggiungere una linea essenziale, che è stata allungata per aumentarne le prestazioni a vela. La poppa del nostro sloop è pulita e slanciata, ma siamo riusciti a soddisfare anche gli aspetti funzionali. La sua parte centrale scende in mare grazie a un meccanismo idraulico: una spiaggetta permette l’uscita del tender e si richiude per ripristinare l’integrità formale dello scafo.
Rispettare la tradizione non significa privarsi delle comodità. Una barca di grandi dimensioni deve essere progettata come spazio architettonico: una libreria, una cucina professionale, una spa o una cantinetta per il vino fanno parte di quei dettagli che gratificano oggi i nostri committenti. Un buon progettista deve saper capire i desideri del suo cliente, anche quando questi rimangono inespressi perché ritenuti eccessivi o inconsueti su una barca.
Tra la suite armatoriale e la zona relax del bagno, ad esempio, abbiamo progettato delle paratie che diventano trasparenti a comando, per separare i due ambienti con una “sfumatura” di luce. I letti e gli arredi non toccano quasi mai il pagliolato ma, per aumentare la percezione spaziale, galleggiano. Nei bagni abbiamo usato anche la pietra, che viene posata in lastre di soli tre millimetri accoppiate a un materiale molto leggero di derivazione aeronautica in nido d’ape d’alluminio. Il quadrato dello sloop nasce da un compromesso con le linee esterne. Lo abbiamo pensato di proporzioni contenute per mantenere lo scafo slanciato, ma al suo interno è molto spazioso e rigorosamente essenziale. Le finestrature della tuga, invece, possono essere oscurate fino alla totale opacità, grazie a un film di cristalli liquidi inserito nello stratificato di vetro. Il nostro progetto è stato premiato come Silver Winner all’European Product Design Award.
Lei si è laureato con una tesi sul restauro della sua barca: il Raireva. È ancora la sua barca?
Certo, il Raireva è ancora la mia barca per eccellenza e, oserei dire, anche la mia “casa” preferita. Oltre che per le mie crociere estive, la vivo molto quando sono a Genova: la tengo ormeggiata allo Yacht Club Italiano, di cui sono Socio, e il guidone in testa d’albero di maestra lo evidenzia. Il Raireva batte anche il guidone del New York Yacht Club, poiché sono socio anche di quello.
Ad oggi, sembra che lo Yachting Classico sia sempre più diffuso e apprezzato. Ma cosa vede nel prossimo futuro per la nautica da diporto? Secondo lei ci sono buone speranze che si continuerà in questa direzione?
Sono sempre portato verso la positività, per cui penso di poter rispondere che sì, c’è maggior interesse per lo Yachting Classico. Negli ultimi anni, sulle riviste, nei porti e ai boat show, ne abbiamo viste di tutti i colori (e purtroppo ne stiamo ancora vedendo). Da un po’ di tempo cantieri e designer sperimentano le forme e le soluzioni più astruse, e realizzano yacht con interni che sembrano le lobby dei moderni hotel a tre stelle, dove le forme delle sovrastrutture esterne sembrano solo appagare le linee del momento, senza che di fatto abbiano un senso compositivo coerente con uno yacht, ma forse più con un’astronave o, comunque, con la sola voglia di spiccare per originalità. Per fortuna, però, sembra rinascere un desiderio di maggior classicità, che tuttavia va saputa gestire con competenza e cultura, non copiando forme in maniera ignorante e casuale o utilizzando un po’ di legno qua e là.
L’incremento del comparto della nautica e, soprattutto, della produzione dei grandi yacht ha inevitabilmente causato l’accesso allo yachting di innumerevoli persone che non hanno una lunga esperienza nautica – sia come utenti sia come progettisti e realizzatori – e mi pare che non sempre abbiano un gusto colto e fondato su effettive conoscenze tecniche e storiche di marineria. Di conseguenza si è diffusa la semplificazione dell’invece necessaria complessità progettuale, e quindi la realizzazione di innumerevoli “prodotti” ben lontani dall’armoniosa piacevolezza, a mio giudizio, indispensabile.
Mi auguro, quindi, che il ritorno allo Yachting Classico non si traduca solo nel riproporre alcuni elementi e materiali mal assemblati dal punto di vista compositivo, da chi e per chi si è improvvisato esperto o appassionato di yacht, senza avere la sensibilità per apprezzare gli effettivi ed equilibrati rapporti con la tradizione. Il rapporto con la tradizione è sempre molto importante nella progettazione degli yacht, anche per quelli più moderni. Andare da Genova alla Corsica, ad esempio, con una barca, a motore o a vela, è una scelta particolare, uno stile di vita, non razionale. Ci sono mezzi molto migliori, più veloci, più comodi e meno costosi. Se lo fai in barca, che sia di 10 metri o di 50, stai facendo una scelta azzardata, culturale, di confronto con la storia e con la natura. Navigare è un gioco e bisogna stare alle regole del gioco. Chi non lo fa, sbaglia. Chi affronta il mare con un mezzo inadeguato, sbaglia. Lo yachting, inteso nel senso inglese del temine, deve stare un po’ su un piedistallo.