Intervista all’Architetto Matteo Picchio: la cultura del mare
Quale lavoro le ha dato maggiore soddisfazione?
Semplice: è sempre la barca che sto progettando. Ho iniziato ad andare in barca a vela nei primi anni ‘70, non appena sono stato in grado di tenere in mano la scotta del Dinghy 12’’, che mio nonno aveva comprato per mio papà nel 1953. Da ragazzo poi ho sviluppato la passione per le belle barche a vela (sempre di legno) che avevamo in famiglia, con cui amavo veleggiare, e impiegavo la gran parte del mio tempo alla manutenzione.
Dal 1987 al 1990 mi sono dedicato al refitting del Raireva e nel 1996 ho fondato il mio studio, iniziando l’attività di yacht designer. Insomma, è da tanto tempo che mi occupo di progettazione di barche e, nonostante tutti questi anni, ogni volta che intraprendo un nuovo lavoro progettuale per uno yacht, per me è un’entusiastica gioia. Sono spinto da una grande passione, che ancora oggi mi fa ritenere che il progetto che sto facendo in quel momento sia il lavoro più bello che abbia mai fatto. È sempre non solo una sfida tecnico-progettuale, ma anche un’avventura affascinante da vivere insieme al mio cliente, durante la quale divento l’anello di congiunzione tra i suoi sogni e la realizzazione del suo yacht.
Matteo Picchio ci può raccontare i suoi progetti futuri?
È da qualche anno che studiamo nuovi sistemi di propulsione, di stabilizzazione e di gestione dei carichi elettrici di bordo, oltre che di climatizzazione, con approcci molto diversi da quelli attuali. La finalità è il contenimento dei consumi energetici di bordo e una maggior sostenibilità. Le analisi ingegneristiche che stiamo conducendo ci stanno dando interessantissimi e affascinanti spunti progettuali per nuovi concept che stiamo sviluppando. Ovviamente, sempre rispettando la tradizione marinaresca, per la quale, da millenni, le barche devono avere le loro forme proporzionate e armoniche.
BREVE STORIA DEL RAIREVA – MATTEO PICCHIOProgetto n. 29 del celebre progettista triestino Carlo Sciarrelli. Il Conte Ludovico Solaro dal Borgo, di Roma, voleva che Carlo Sciarrelli progettasse per lui una barca simile al Joshua di Bernard Moitessier. Sciarrelli, a proposito del Raireva, diceva di aver progettato una barca “come andava fatta”. La poppa è norvegese, infatti, viene chiamato il Colin Archer di Sciarrelli; a differenza del Joshua che ha il bompresso, Sciarrelli ha preferito inclinare il dritto di prora allungando leggermente la prua. L’armo a ketch è frazionato e facile nella condotta anche in solitario. Varato nel 1972, il Raireva parte dopo poco per la traversata Atlantica: prima rimane alle isole Caraibiche, poi a New York, poi rientra in Italia, nel Tevere, dove era stato costruito. «Nel 1987 lo acquista mio padre – racconta l’Architetto Matteo Picchio – insieme lo portiamo in Liguria e lo sottoponiamo a un refit; i lavori vengono seguiti per tutta la loro durata – di circa due anni – da me, ancora studente. Tra il 1987 e il secondo varo del Raireva, effettuato nel 1990, viene portato “a ferro”, scafo e coperta vengono sabbiati e zincati a caldo, riallestiti gli interni, costruita la coperta in teak con trincarini, controfalchette, capo di banda, pozzetto e boccaporti rivestiti in mogano, ricostruiti gli impianti e così via. è stata un’esperienza assolutamente fondamentale. Il fatto di aver eseguito la progettazione e la gran parte dei lavori di refitting con le mie mani mi ha “traghettato” alla professione di yacht designer, che svolgo ormai da circa trent’anni. Ho affrontato quel progetto quando avevo vent’anni ed ero studente alla facoltà di Architettura. Mi è servito a livello tecnico, ma soprattutto psicologico: è allora che ho imparato ad avere la tenacia necessaria per portare avanti un progetto. All’epoca avevo appena letto il romanzo “I lavoratori del mare” di Victor Hugo, dove il protagonista, per recuperare da solo un vascello, si inventa arnesi complicatissimi, ad esempio dei grossi paranchi aggrappati agli scogli oppure una forgia alimentata dal vento che si incanala tra le rocce. Con lo stesso spirito mi ero messo a ricostruire la mia prima barca». |
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