Yacht che sfidano i confini del design: l’intervista a Paolo Giordano
In questa intervista, l’Architetto Paolo Giordano ci porta nel cuore del mondo del design nautico.
Fondatore di PGYD, uno degli studi più apprezzati nel settore, l’Architetto Paolo Giordano ci racconta come il suo amore per la vela, nato fin da giovanissimo, sia stato il motore di una carriera che ha visto crescere un’incredibile esperienza nel campo della progettazione di yacht. Con uno stile definito “out of the box”, è riuscito a distinguersi nel mondo del design proponendo soluzioni innovative e funzionali che uniscono estetica e performance. In questa intervista, esploreremo insieme a lui i segreti del suo approccio progettuale, le sfide affrontate e le innovazioni che stanno cambiando il settore nautico.
Com’è nato il suo interesse per il design nautico e cosa l’ha spinta a fondare PGYD (Paolo Giordano Yacht Design)?
Nasco prima navigatore che designer. Quando avevo 14 anni, mio padre acquistò una barchetta a vela di 6 metri. Da lì cominciarono a girare per casa le prime riviste del settore, e mi appassionai subito. Scelsi la facoltà di Architettura di Pescara dove insegnava l’Arch. Vallicelli e nel frattempo navigavo parecchio per fare regate e trasferimenti. Mi piaceva capire come funzionavano le imbarcazioni a vela per poter navigare al meglio.
Poi un architetto e velista di Pescara mi propose un tirocinio formativo nella progettazione e costruzione di una deriva a vela. Una vera barca in sandwich di vetroresina, la Velvet 430, costruita in un garage in città (per la “gioia” del pasticcere vicino, che spesso sentiva l’odore di resina): fu una grande esperienza. Da lì ho iniziato a progettare e non mi sono più fermato.
Ho proseguito gli studi a La Spezia, dove mi si è aperto un mondo, visto che in zona passavano molte delle barche a vela più belle del Mediterraneo. Poi l’esperienza intensa nel cantiere Vismara di Viareggio e successivamente l’apertura dello studio con l’idea, sempre presente, di progettare “out of the box”.
Qual è l’aspetto più stimolante nel progettare yacht e come si distingue il design di una barca rispetto ad altri ambiti del design industriale?
Uno yacht è un oggetto complesso: bisogna cercare di integrare al meglio estetica, funzioni, strutture e impianti, tenendo sempre conto degli aspetti legati alla sicurezza in mare. C’è una forte multidisciplinarità che va gestita con attenzione affinché tutto funzioni. Ci sono stati diversi tentativi da parte di designer industriali di progettare yacht, ma il risultato non è sempre stato positivo, perché uno yacht può essere progettato solo se ne si comprendono tutti gli aspetti. Prima che designer bisogna essere fruitori, per comprendere le dinamiche legate alla navigazione in mare.
In che modo lo studio PGYD si avvicina a un nuovo progetto di yacht e quali sono i passaggi fondamentali del processo di progettazione?
Cerco sempre di essere fedele al claim design “out of the box”, che però non va frainteso. Progettare fuori dagli schemi non vuol dire stravolgere gli stilemi, bensì affrontare la progettazione cercando di guardare lo stesso problema da un punto di vista diverso. Solo così si può provare a innovare e migliorare, spingendo il design sempre un po’ più avanti. Il punto fondamentale del processo di progettazione è la conoscenza dell’evoluzione delle imbarcazioni nel corso degli anni, in modo da comprendere lo stato dell’arte e provare ad anticipare soluzioni che si ipotizza possano essere apprezzate dal mercato. Il timing è fondamentale; alcune soluzioni innovative e mai testate diventano valide solo se il mercato è pronto a recepirle.
L’altro aspetto importante legato alla progettazione è l’architettura navale, ovvero il disegno della carena e del sistema propulsivo, poiché una barca, prima di essere bella e funzionale, deve essere sicura e marina. Ad esempio, sull’Evolution 6.0 di Lion Yachts, su richiesta dell’armatore, è stata studiata una propulsione fuoribordo totalmente integrata nel design: una soluzione non convenzionale applicata su uno yacht dal dislocamento importante e dall’aspetto di un trawler sportivo.

La progettazione non è mai un processo lineare, e spesso un cambiamento comporta la rivisitazione di altri aspetti; è una spirale che va man mano affinata fino a raggiungere un punto di equilibrio. È quasi matematica: quando la spirale è svolta a dovere, il progetto è centrato e bilanciato, e tutto torna al suo posto.
L’innovazione sta cambiando radicalmente il settore nautico. Come integra PGYD queste nuove tecnologie nei suoi progetti?
Bisogna andarci cauti, senza farsi prendere la mano. La tecnologia funziona bene quando diventa un supporto alla navigazione, ma senza sostituirsi a essa. L’elemento umano deve sempre prevalere. E soprattutto va proposta al cliente quando è sicura ed è di facile gestione. Il rischio, altrimenti, è quello di creare oggetti troppo complessi che i clienti non sono in grado di gestire.
L’estetica e la funzionalità sono sempre in equilibrio nei progetti di yacht. Come trova il giusto compromesso tra i due aspetti, soprattutto quando i clienti hanno richieste diverse?
Come diceva Carlo Sciarrelli, “una barca bella naviga bene”; ed è sicuramente vero. Ma, soprattutto, l’estetica di un’imbarcazione deve essere coerente con la sua funzionalità, senza mai prevalere su di essa. Lo stile fine a sé stesso non mi piace. A volte capita di sentirsi dire “disegniamolo così perché è più bello”. A mio parere, la bellezza è soggettiva, e nel contesto progettuale preferisco dire “disegniamolo così perché è più coerente”. Se si segue questa linea di pensiero, allora la progettazione scorrerà facilmente, perché le scelte sono finalizzate a uno scopo ben preciso. Alla fine la barca potrà piacere o non piacere, ma il progetto sarà comunque corretto.
Avendo la formazione più da architetto che da designer puro, non m’innamoro mai del primo schizzo disegnato a mano libera che, magari, risulta essere bellissimo, ma poco funzionale nel momento in cui si cerca un riscontro dimensionale e volumetrico. Preferisco fin da subito inserire le quote, verificare altezze e volumi, per poi tornare, in una seconda fase, ad affinare lo stile e l’estetica.
PGYD ha collaborato con alcuni dei cantieri nautici più prestigiosi. Come gestisce la collaborazione con queste aziende e cosa rende una partnership di successo nel mondo dello yacht design?
A volte i cantieri hanno ben chiaro in mente il prodotto da proporre e si affidano allo yacht designer per mettere “in bella copia” le proprie idee, altre volte lasciano carta bianca. Penso che si debba trovare il giusto compromesso. Il cantiere dovrebbe avere una visione chiara dei valori del proprio brand, di come e dove posizionarsi nel mercato e a quale target di clientela rivolgersi. Lo yacht designer dovrebbe, invece, farsi interprete di queste informazioni aggiungendo la propria “visione” progettuale relativa a un oggetto che ancora non esiste e che dovrà avere una propria identità per farsi notare. Entrambi abbiamo la responsabilità di immettere un prodotto sul mercato che deve soddisfare tutti i requisiti progettuali e commerciali e che possa essere in grado di mantenere un valore nel tempo.
Uno dei progetti più recenti di PGYD è lo SHADE G50. Quali sono stati gli elementi distintivi che hanno caratterizzato il design di questo yacht e come ha affrontato le sfide tecniche ed estetiche durante il suo sviluppo?
Con il progetto SHADE G50 si è cercato di spingere in avanti il concetto del vivere l’imbarcazione in tutti i suoi spazi a contatto con il mare. Il beach club è stato reinterpretato integrando nel design un grande “pergolato” che permette una copertura totale della zona di poppa, in modo da vivere questo ambiente esterno in ogni condizione atmosferica. Una soluzione inedita che crea la sensazione di entrare in un ambiente aperto, un doppio volume che amplifica la percezione degli spazi.

Le soluzioni estetiche del design esterno sono funzionali a questo approccio: i grandi archi laterali diventano la struttura che sorregge la copertura e la loro inclinazione “inversa” verso poppa permette di coprire completamente la zona del beach club, mentre un’unica linea che parte dal parabrezza disegna tutto il profilo andando verso poppa. Ne deriva uno yacht da 50 metri sotto le 500 GT con un appeal sportivo, ma che grazie a queste soluzioni offre una vivibilità notevole degli ambienti e una totale integrazione tra spazi esterni e quelli interni.
Anche il layout è stato pensato in maniera non convenzionale, ovvero spostando tutte le cabine ospiti dal lower deck, dove solitamente sono posizionate, al main deck in modo da poter essere raggiunte senza dover utilizzare scale e in modo da poter fruire delle grandi vetrate a tutta altezza presenti nei fianchi dello scafo.
Nei suoi anni di attività come ha visto cambiare il settore della nautica e come si sono evolute le imbarcazioni?
Le imbarcazioni evolvono con l’evolvere della clientela e delle loro aspettative. Se un tempo gli armatori erano disposti a “sacrifici” in termini di comfort, ora questo è un aspetto non più trascurabile. Tutto deve essere preso in considerazione cercando di garantire il massimo livello di comfort. Si è molto ampliata la categoria dei weekender, barche pensate per l’utilizzo giornaliero con tanti spazi esterni. Un esempio concreto è stato il Lion Open Sport 3.5, in cui, in soli 10 metri, sono state create diverse aree vivibili esterne senza sacrificare gli spazi interni.

Credo che nel settore delle imbarcazioni a motore ci sia stata una maggiore evoluzione in termini di layout e vivibilità degli ambienti. Le imbarcazioni a vela sotto questo punto di vista sono rimaste ancora indietro e, infatti, il mercato è decisamente piccolo. Non c’è ricambio generazionale tra gli armatori, ma sono sicuro che molti armatori di barche a motore passerebbero alla vela se queste fossero pensate in maniera diversa.
Qual è il progetto a cui è più legato e perché?
Istintivamente direi lo ZEN: una piccola deriva in compensato marino pensata anche per l’autocostruzione. È stato uno dei miei primi progetti, una barca disegnata utilizzando solo 3 linee.

Sempre restando sulle piccole imbarcazioni, anche il MALUPA è un progetto al quale sono legato, poiché, nonostante la taglia ridotta, affronta diverse tematiche progettuali legate al navigare senza barriere. MALUPA è, infatti, una deriva di ultima generazione che consente di vivere l’esperienza di veleggiare in equipaggio misto e in assoluta sicurezza, sia per persone normodotate che per persone con qualsiasi forma di disabilità. È un progetto relativamente giovane che, però, sta trovando parecchio riscontro a livello nazionale, con diverse imbarcazioni già presenti sul territorio.

Guardando al futuro, quali sono le tendenze principali nel mondo dello yacht design che ritiene emergeranno nei prossimi anni?
Si è sempre legati all’idea che una barca più grande corrisponda alla possibilità di avere un numero maggiore di cabine e persone da ospitare. Penso che la tendenza, invece, possa essere quella di avere a bordo un numero inferiore di spazi, ma più ampi e vivibili, magari per ospitare tante persone solo per un utilizzo giornaliero. Nei mega yacht, immagino invece la possibilità di avere a disposizione molti spazi conviviali per trascorrere a bordo molto tempo, anche oltre il normale utilizzo in vacanza.

È stata questa la linea progettuale del mega yacht L50, dove sono state create appositamente zone per la vita di bordo, a partire dall’upper deck, completamente destinato all’armatore, che da questa zona può raggiungere tutti gli altri ambienti, come la grande zona esterna di prua attrezzata con piscina e aree living/prendisole, o il main deck e l’enorme beach club, passando sia dall’esterno che dall’interno.
Gli spazi a disposizione sono notevoli: una terrazza privata esterna con una vasca Jacuzzi personale, un’enorme cabina panoramica e uno studio separato per un totale di oltre 120 mq a uso esclusivo dell’armatore. Inoltre, il sundeck/solarium è direttamente raggiungibile dalla terrazza armatoriale, dando così la possibilità di rendere anche quest’area a uso esclusivo dell’armatore. Nel main deck spicca un salone “oversized”, separato dalla zona conviviale per i pranzi e le cene interne che si svolgono in un’area dedicata molto particolare, posizionata più a prua e sul fianco destro, e per questo caratterizzata da un’incredibile vista panoramica, da utilizzare anche per meeting o come zona relax. Un mega yacht pensato dunque per essere veramente vissuto durante tutto l’arco dell’anno.
Dei nuovi progetti, invece, cosa può dirci?
Oltre ad alcuni progetti di mega yacht in fase di trattativa e ancora non presentati, sto collaborando alla nascita di un nuovo brand legato alla costruzione di imbarcazioni in alluminio di taglia media.
Il primo modello disegnato è attualmente in costruzione e verrà presentato al Cannes Yachting Festival nel 2025. Si inserisce in un mercato di nicchia che si discosta dalla produzione prettamente seriale, proponendo invece modelli semi-custom. L’idea è stata quella di applicare gli standard progettuali tipici dei mega yacht, a partire dal materiale di costruzione, l’alluminio, su un’imbarcazione di taglia media, garantendo un alto livello qualitativo grazie anche al know-how del cantiere. Se ne sentirà parlare a breve.
PGYD – PAOLO GIORDANO YACHT DESIGN
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