Carlo Borlenghi e la sua fotografia
Qual è il progetto fotografico a cui è più affezionato o quello che le ha dato maggiori soddisfazioni a livello personale e professionale?
Quello a cui sono più affezionato è un progetto abbastanza recente, nato durante il Covid. In pandemia mi sono interrogato su quali fossero le mie lacune come fotografo e mi sono reso conto che non ero preparato sui ritratti. Ho iniziato così a guardare quelli dei grandi fotografi, a documentarmi, e ho deciso di ordinare online tutta l’attrezzatura necessaria perché mi stavo appassionando sempre di più.
Inizialmente mi sono allenato con mia moglie che mi faceva da modella e con un manichino preso da un negozio di moda a cui cambiavo i vestiti per vedere le varie reazioni. Dopo un po’ ho chiamato il Sindaco di Bellano, gli ho fatto una foto in bianco e nero e gli ho chiesto di poter fare lo stesso con tutte le persone di Bellano. Lui, come ha visto il risultato della foto, è stato subito d’accordo. Mi ha detto: “Ti trovo uno studio in centro per scattare le foto, ci facciamo il libro e anche una mostra in paese”, e così è stato.
“Il ritratto di Bellano”, con la collaborazione di Andrea Vitali, uno scrittore famoso che vive qui, è nata in questo modo. È stato bellissimo e lo è ancora. Da circa 9 mesi ogni angolo del paese ha un ritratto di un bellanese e le persone vengono apposta per vedere questa mostra.
Lo stesso è accaduto per la Barcolana, ho proposto la stessa esperienza e loro si sono subito convinti, visto il progetto dei bellanesi. A ottobre andrò avanti a fare i ritratti per la Barcolana: al momento sono 1.800 persone. Questo è stato il progetto più difficile per me, perché non lo avevo mai fatto, ma è stato il più bello in assoluto, quello più umano.
A livello lavorativo ci sono sicuramente progetti molto belli, ma diciamo che lì, molto spesso, si tratta di avere la fortuna di stare in un bel posto e in una posizione privilegiata per scattare “la bella foto”. Questo, invece, è nato da me, l’ho studiato, e vedere le persone piangere davanti al ritratto del proprio figlio è tutta un’altra storia.
Lei ha realizzato anche molti libri, però.
A me piace fotografare molto il Lago di Como e il libro più bello che ho realizzato si chiama “Lago di Como. Un mondo unico al mondo”. È stato sviluppato in maniera inusuale, come se fosse la genesi, la nascita del Lago di Como. La peculiarità, però, era quella di non far vedere i soliti paesaggi o paesi che si trovano un po’ su tutte le cartoline.
Collaborazioni o progetti fotografici futuri per Carlo Borlenghi?
Mi piacerebbe fare un foto festival sul Lago di Como, perché il turismo sul lago è in ascesa, si riescono ad avere anche fondi dalla Regione per sviluppare questi progetti e i Comuni sono sensibili a questo tipo di eventi. Per esempio, hanno pubblicato un libro sul centenario della Moto Guzzi, una fabbrica di moto di Mandello qui sul lago.
Quarant’anni fa avevo fotografato, con il mio amico fotografo Carlo Zuccoli, l’archivio storico della Moto Guzzi perché lo stavano smantellando. L’anno prima del centenario ci siamo ricordati di queste immagini e abbiamo aggiunto una nuova serie di fotografie con le Moto Guzzi ambientate negli scorci migliori del Lago di Como per arricchire le foto storiche.
È nata una mostra itinerante all’aperto nei vari paesi del Lago di Como e un libro. Quando ho tempo mi dedico a questi progetti. Anche nella nautica ne ho diversi in mente, ma ancora non ve ne posso parlare. Comunque per il momento ho davvero troppo poco tempo libero per occuparmene.
Insomma, alle spalle ha una carriera lunga e variegata. Quale consiglio darebbe alle nuove generazioni di fotografi?
Quello che mi rammarica un po’ è che le nuove generazioni entrano in questo mondo senza nuove idee o nuove visioni, molti tendono a copiare e basta. C’è carenza di creatività in questo senso, colpa forse anche di un mercato che richiede sempre lo stesso ed è difficile inventarsi qualcosa di nuovo. Molti hanno iniziato a svendersi senza pensare che così sarà ancora più difficile raggiungere certi risultati e chi arriva ora, anche spinto dalla passione, si scontra con una realtà difficile e con compensi molto bassi.
Massimo Vitali, collega di Uomo Mare Vogue, quando all’epoca io ero ancora un “pivello” mi diede un consiglio per un lavoro che dovevo fare: mi disse di farmi pagare di più rispetto a quello che chiedevano gli altri. Pensai fosse una cosa folle, ma aveva ragione. Il cliente accettò il mio preventivo, le foto andarono molto bene e io da lì in poi non ho mai dovuto svendere il mio lavoro. La mia professione è stata sempre riconosciuta il giusto. Bisogna sempre pensare a medio-lungo termine e dare valore a ciò che si fa. E io, anche adesso, dopo quarant’anni di lavoro, ho ancora l’entusiasmo di quando ho iniziato.