La pesca con il palangaro
Il palangaro è uno degli attrezzi più antichi e più utilizzati dagli operatori della piccola pesca nel Mediterraneo, ma presenta caratteristiche diverse in funzione delle aree geografiche e delle marinerie che lo utilizzano.
Questo particolare tipo di attrezzo con ami è utilizzato soprattutto nell’Italia meridionale, ma recentemente si è diffuso anche nell’alto e medio Adriatico per la pesca del tonno.
Chiamato anche “palamito“, “conzo“, “coffa” o “catalana” (nome che deriva dalla sua origine geografica), le tecniche di utilizzo di questo attrezzo sono state tramandate verbalmente dai pescatori che nei secoli ne hanno fatto la loro risorsa ed il loro mestiere.
Oggi è assai diffuso anche tra i pescatori sportivi che, regolamentati dal DPR n° 1639 del 2 ottobre 1968 e s. m. i., possono utilizzare palangari dotati al massimo di 200 ami.
Benché sia un attrezzo il cui utilizzo necessita una certa perizia ed esperienza, il palangaro permette generalmente un rendimento elevato in quantità, ma soprattutto in qualità del pescato.
In alcune zone la pesca col palangaro dà risultati più che soddisfacenti per far vivere e prosperare l’impresa di pesca, in altre, quelle soprattutto dove si ha la presenza di altri tipi di pesca, il rendimento è minore.
Il palangaro può essere paragonato ad un lunghissimo bolentino armato con molti ami.
Tale attrezzo da pesca consiste, difatti, di un lungo cavo principale (“trave” o “lenza madre”), realizzato con cordino ritorto o trecciato, con monofilo o anche con una piccola fune in acciaio. Alla lenza madre sono legati ad intervalli regolari gli ami, tramite spezzoni di lenze (“braccioli”) di diametro inferiore.
La distanza tra un amo ed un altro sulla lenza madre è variabile, generalmente è leggermente superiore al doppio della lunghezza dei braccioli.
L’intero palangaro, a bordo, è contenuto all’interno di un apposito recipiente (chiamato “cesta” o “cassetta”) in cui viene opportunamente sistemata la lenza madre con i braccioli e gli ami.
I palangari possono essere posizionati in pesca (“calati”) ed ancorati in prossimità del fondo mediante degli opportuni piombi o zavorre, legate alle estremità della lenza madre, in modo tale che l’attrezzo non venga trascinato dalle correnti (palangari “fissi” o “di fondo”).
I palangari fissi sono utilizzati per la cattura dei pesci demersali.
I palangari “derivanti” (o “di superficie”), a differenza di quelli fissi, sono posizionati a pochi metri di profondità o in superficie per la cattura dei grossi pesci pelagici.
La diversa misura degli ami impiegati nella realizzazione dei palangari consente di catturare, in maniera molto selettiva, varie tipologie di pesce. Il palangaro può essere adoperato in ogni stagione, sia di giorno che di notte, utilizzando una gran varietà di esche sia fresche che congelate e di facile reperibilità.
L’esca impiegata è diversa in base alle specie ittiche che si vogliono insidiare. Gli ami dei palangari di fondo vengono generalmente innescati con paguro, bibì (Sipunculus nudus), oloturia, cannolicchio (Solen marginatus), granchio di sabbia, gamberi, striscioline di seppia e pezzi di polpo o calamaro. Quelli dei palangari derivanti si innescano prevalentemente con sarde o alacce.
Con i palangari di fondo si possono catturare soprattutto saraghi, razze, palombi, rane pescatrici, rombi, murene, pagelli, naselli, gronghi, pesci sciabola (“spatole”), dentici, cernie, capponi, mormore, corvine, saraghi, tanute, scorfani, orate e spigole. Con i palangari derivanti invece si catturano soprattutto tonni e pesci spada, ma anche palamite e alalunghe.
Il successo della pesca col palangaro è legato in modo particolare al numero degli ami utilizzati. Nella pesca professionale per ottenere catture che ricompensino del lavoro svolto sono necessari molti ami, per cui si immergono quindi varie ceste di ami. La pesca col palangaro si effettua con limitati consumi energetici ed è molto rispettosa delle risorse che si stanno sfruttando.
Questo attrezzo di pesca ha una grande importanza per la sua selettività: aumentando la grandezza degli ami, diminuisce la cattura di “specie accidentali” come tartarughe marine, delfini squali ed esemplari giovani, che hanno un grande ruolo ecologico poiché la cattura di questi predatori apicali può alterare il normale equilibrio prede-predatore delle reti trofiche marine, con conseguenze future poco prevedibili.