Lazzarini Pickering Architetti: intervista a Claudio Lazzarini
Quella con Claudio Lazzarini è stata una chiacchierata stimolante, una di quelle che, finita, ti rendi conto che ti ha arricchito e lasciato qualcosa. Architetto, inizia a lavorare con Fendi e, grazie a Fendi, arriva alla nautica. Un uomo che non ama la parola “consuetudini”, ben diverse dalle “tradizioni”. Ma non è corretto parlare al singolare, perché vi renderete conto che questa è stata un’intervista con lui, ma anche con Carl Pickering. Lazzarini, infatti, parla sempre al plurale per sottolineare i 42 anni di vita e lavoro vissuti sempre insieme, dentro e fuori dal loro studio Lazzarini Pickering Architetti.
Si è laureato nel 1981 e nel 1982 ha aperto il suo studio. Quale percorso l’ha portata a quel momento?
Sono tanti anni che non mi pongono più questa domanda. Per me è bello ripensare a com’è iniziato tutto. Appena laureato, ho fatto la scelta tipica di tutti i giovani architetti dell’epoca: da Roma mi sono trasferito a Milano. Volevo fare un’esperienza in un grande studio. In quel momento Enzo Mari aveva avuto l’incarico per l’arredo urbano di piazza del Duomo e piazza della Scala, un progetto che però sconfinava nel campo architettonico, quindi cercava un architetto. Feci un primo mese di prova con Mari sul design, che fu estremamente stimolante, ma una volta entrati nella fase di progettazione ci fu qualche problema: era un intervento connesso a normative e regolamenti, e di lì a breve il progetto si ritrovò insabbiato.
Questo mi diede l’impressione di non crescere. Nonostante fossi rimasto da Mari per soli quattro mesi, mi bastarono per capire di non essere fatto per lavorare sotto qualcun altro; quindi sono tornato a Roma, dove mi sono ritrovato a fare un’esperienza molto particolare: davanti a un tavolo vuoto e un telefono muto, dovevo inventarmi una professione. Una condizione che risultò molto interessante, perché ho capito che le occasioni vanno create e costruite: mi guardavo intorno disperatamente, cercando in chiunque mi passasse accanto – anche i gatti – un potenziale cliente.
Al tempo avevo un’amica che lavorava nell’ufficio stampa di Fendi e tramite lei sono entrato in quell’universo. Per me è stata una bellissima esperienza formativa, la famosa gavetta, di cui oggi non si parla più. Una grandissima scuola, perché sono entrato nel mondo della moda, occupandomi di allestimenti e architettura, e ho imparato tutto da una grande maestra, Carla Fendi.
Quindi ha fatto la sua gavetta, ma in proprio, con il suo studio. Avrà dovuto farsi molto in fretta le ossa per trovare il suo spazio.
Assolutamente. Ho capito subito che anche le piccole occasioni vanno sfruttate fino in fondo, che si deve riuscire a tirarne fuori tutto il possibile. Ho incontrato persone fantastiche, ma da Carla Fendi ho imparato tutto: mi ha insegnato ad ascoltare, a farmi ascoltare, che tutto è possibile, che c’è sempre un’occasione giusta e che bisogna rispettare tutti, pur essendo inflessibili. All’inizio progettavamo giganteschi stand fieristici, molto interessanti a livello creativo, ma che andavano realizzati in tre giorni: 2.000 mq di stand con 100 operai a lavoro, era fondamentale riuscire a far lavorare tutti in modo coordinato.
Un altro aspetto che mi entusiasmava erano i fondali di sfilata, vere e proprie scenografie, che discutevamo insieme alle signore Fendi e con Karl Lagerfeld, in uno scambio continuo. Peraltro erano gli anni in cui la moda era al centro dell’attenzione: da quel mondo passavano tutti ed è stata una grande occasione per noi. Nel giro di qualche anno, abbiamo realizzato tutte le boutique Fendi nel mondo e le loro sedi, dando il via alla nostra avventura. Dico “nostra” perché il rapporto con Carl Pickering inizia subito. Quando io apro lo studio, Carl sta ancora studiando a Venezia, ma comincia immediatamente una collaborazione intensa. Non solo lavoriamo fianco a fianco, ma viviamo anche insieme, quindi sono 42 anni di totale condivisione, di vita e di lavoro. Per questo parlo al plurale, perché Carl c’è sempre stato in questa avventura.
È interessante capire quale passaggio vi abbia portato dal mondo della moda – molto in espansione in quel periodo – a quello della nautica, completamente differente.
Totalmente differente, è vero. Il passaggio avviene perché Anna Fendi decide di far costruire una barca per sé e una per la figlia, e si rivolge al prestigioso studio milanese di Luca Brenta e Lorenzo Argento. Però Anna per gli interni chiede a noi: avevamo lavorato personalmente per lei alle sue case e alla gioielleria della figlia, quindi esisteva già un feeling. Inizialmente decliniamo, spiegando che non avevamo mai curato nulla in questo ambito; tuttavia, Anna insiste e noi alla fine accettiamo.
Facciamo questa prima esperienza sugli interni di una barca abbastanza tradizionale, lavorando però con Brenta per impostare il layout generale: affacciandoci al mondo delle barche a vela, ci risulta naturale che debbano essere simmetriche, non solo per una questione di pesi fisici, ma anche di pesi visivi. Quindi impostiamo un layout estremamente simmetrico. Ricordo che quando ci siamo presentati la prima volta allo Studio Associato Luca Brenta – noi, gli architetti della stilista – loro ci avevano immaginati arrivare pieni di mazzette di tessuti a suggerire decori, invece hanno scoperto che avevamo una gran capacità progettuale e che volevamo metterla all’opera. Dopo qualche anno, Luca Brenta ci richiama: stavano progettando una barca Wally (di cui non sapevamo assolutamente nulla al tempo) e il cliente voleva che i progettisti per gli interni fossero esterni al mondo nautico. Ci chiede: “Volete fare una prova?”, e così inizia la nostra vera storia nella nautica, con gli interni del Wally B.
Quando siete passati da Fendi alla nautica, cosa vi ha messo di più alla prova?
La difficoltà maggiore sta nel fatto che nella nautica i problemi tecnici, tecnologici e normativi sono molto presenti, e in uno spazio ben più compresso di altre situazioni. Gli insegnamenti di Carla Fendi sull’ascolto sono stati fondamentali: abbiamo dovuto ascoltare con grande attenzione i tecnici, ma anche riuscire a farci ascoltare, soprattutto perché molto spesso le nostre proposte si scontrano con gli aspetti pratici. La capacità di riuscire a farsi ascoltare da loro, portandoli a individuare soluzioni diverse dalle solite, è una nostra caratteristica che ci ha aiutato molto nel passaggio dal mondo delle costruzioni e degli allestimenti al mondo nautico.
Naturalmente, lavorando in tantissimi ambiti anche particolarmente diversi tra loro, recepiamo interferenze molto stimolanti: alcune tecnologie della nautica ci hanno aiutato, ad esempio, nel design puro o anche nel restauro, e viceversa. La flessibilità oggi per noi è molto divertente, ma anche rassicurante: c’è stato un momento in cui il mondo della moda è entrato in crisi e non si realizzavano più negozi, ma noi avevamo altri progetti a cui lavorare, e lo stesso è avvenuto quando la nautica ha vissuto un grande momento di difficoltà e di blocco. Avere la possibilità di saltare da un ambito progettuale all’altro è fondamentale e ci divertiamo moltissimo perché ci immergiamo in mondi sempre diversi e non rischiamo di cadere nella banalità delle consuetudini, come può accadere quando si lavora sempre nello stesso ambiente.
Come vi siete approcciati alla progettazione nautica?
Da esterni a questo settore, abbiamo iniziato sfogliando le riviste e studiando gli interni delle barche a vela, che al tempo erano un incrocio tra una tavernetta borghese e un pub inglese: tutti assolutamente orrendi. Guardando alle barche da regata, però, abbiamo constatato che erano vuote, mostravano la forma della scocca della barca, lo spazio curvo in vista era emozionante per noi. Quindi abbiamo proposto per Wally B di lasciare lo scafo – previsto in carbonio – a vista, ma abbiamo dovuto aprire un dialogo con i tecnici: avevamo proposto di eliminare le contropareti e volevamo vedere lo scafo, ma al tempo a murata passava tutta l’impiantistica, quindi ci siamo immediatamente scontrati con la realtà. Lentamente, grazie a un fitto rapporto di scambio, siamo giunti alla soluzione: portare tutta l’impiantistica elettrica a cielino e quella idrica sotto i paioli, liberando di fatto le murate.
Da lì è partito il progetto Wally B, che ebbe un immediato riscontro: all’epoca era qualcosa di rivoluzionario, e la stampa e i professionisti ci riconobbero subito questa grande intuizione. Il rapporto con Wally, poi, è continuato: abbiamo curato lo styling, sia esterno che interno, del Wally 80, per cui abbiamo anche vinto il Compasso d’Oro, e poi c’è stata la grande esperienza del WallyPower118, di cui abbiamo progettato sia gli interni che le linee esterne. Un modello rivoluzionario.
Il WallyPower118 è in effetti un modello senza tempo: potrebbe essere stato progettato anche oggi, così come tra 10 anni.
Facciamo molta attenzione a non cadere mai in ciò che è stato codificato dalle consuetudini: le tradizioni arricchiscono, mentre le consuetudini molto spesso banalizzano e diventano gabbie. Tendiamo sempre a guardare ogni lavoro con un occhio avulso da ciò che intorno viene progettato, riuscendo così a proporre creazioni innovative. Per il WallyPower118 ci siamo innestati su una base già rivoluzionaria – il lavoro di Luca Bassani, che ci ha fatto trovare il disegno dello scafo quasi completo –, mentre noi abbiamo progettato la sovrastruttura. Volevamo realizzare una barca a motore diversa, che potesse avere grande velocità e scardinare l’abitudine di distinguere nettamente spazi interni ed esterni. Infatti, il WallyPower118 è un continuum: lo spazio interno è trattato e concepito, per volumi e materiali, come lo spazio esterno. Sommando i nostri punti di vista con quelli di Wally, in quel momento un vero e proprio vivaio di idee, è stato possibile progettare qualcosa di straordinario.
I contenuti di questo modello in parte sono stati recepiti: le linee esterne sono diventate nel tempo l’imprinting per quelle che vediamo tutt’oggi. Gli interni e la loro concezione, invece, non sono stati ancora decostruiti, compresi e interiorizzati: sono realizzati come un’addizione di pedane di vario livello, che si prestano a essere interpretate funzionalmente in diversi modi, ed ecco, ancora non li ritroviamo nei modelli di oggi. È stata una grande esperienza e ci ha dato enormi emozioni. Dobbiamo dire che nel nostro percorso abbiamo avuto la fortuna di trovare clienti che ci hanno permesso di fare ricerca e di sperimentare.
Nel vostro studio collaborano 20 professionisti. Qual è il valore aggiunto di un pool di talenti così ampio?
Ne abbiamo avuti anche più di 20, ma questa è la dimensione ideale: ci permette di seguire bene ogni progetto, e ne lavoriamo 20-25 in contemporanea. Con un numero di collaboratori maggiore, dovremmo avere più progetti e non riusciremmo a supervisionarli a dovere. Per noi, ognuno è un’occasione di ricerca, anche se piccola: pensiamo sempre a evolverci, in senso sia stilistico che tecnico. Tra l’altro, siamo già abbastanza anziani e in questo gruppo ormai consolidato abbiamo individuato una seria possibilità di continuità dello studio Lazzarini Pickering Architetti. Così potremo rallentare, in un periodo di transizione, e poi lasciare totalmente, in modo che lo studio prosegua anche senza di noi. Anche se, sinceramente, pensiamo di continuare a lavorare finché ne avremo modo.
Oggi la squadra si compone di senior, che sono con noi da molti anni, e di un interessante gruppo di trentenni, che potrebbero essere i nostri figli e rappresentano la generazione successiva. Con queste basi vediamo la seria possibilità che lo studio Lazzarini Pickering Architetti sussista. Questa è un’altra dimensione interessante ed emozionante: il trasferimento di competenze e responsabilità per noi è un nuovo esercizio. Dopo il lockdown abbiamo conservato lo smart working, anche perché la maggior parte dei nostri progetti è a distanza. Abbiamo sempre assicurato presenza in loco per la direzione dei lavori, ma essenzialmente abbiamo seguito i progetti a distanza; quindi per noi il lavoro da remoto è fondamentale e funziona molto bene, e poi in studio abbiamo una presenza quotidiana di 4-5 persone. In questo modo, noi e i nostri collaboratori godiamo di una grande mobilità.
Con tanti talenti, e magari prospettive differenti, l’obiettivo è mantenere un fil rouge oppure trovare ogni volta una cifra stilistica nuova, in base a chi si occupa del progetto?
La cifra stilistica è assicurata dal fatto che tutti i progetti vengono gestiti ancora da noi: fin dall’inizio lavoriamo accanto ai giovani collaboratori che strutturano e operano direttamente sui modelli 3D. Dunque, i progettisti siamo ancora noi. I nostri progetti attualmente sono abbastanza diversi tra loro – anche se il fil rouge è perfettamente riconoscibile – perché facciamo grande attenzione al luogo e al cliente, di cui recepiamo i suggerimenti. A differenza di realtà in cui il cliente si deve affidare completamente, noi lo intervistiamo, gli poniamo mille domande per interpretare i suoi desideri. Il luogo in cui costruiamo e la cultura in cui il progetto è immerso sono aspetti fondamentali, che determinano le differenze tra un progetto e l’altro.
I nostri collaboratori interpretano il nostro linguaggio, che con loro si evolve, però fondamentalmente apprendono la nostra cifra e le nostre logiche, quindi il loro spazio progettuale diventa assolutamente affine al nostro. Per questo riteniamo che il fil rouge sarà sempre assicurato, anche se il linguaggio cambia ed è legato strettamente ai vari progetti.
Negli anni, lo studio Lazzarini Pickering Architetti ha collaborato con grandi nomi, da Wally a Sunseeker passando per Benetti, che recentemente ha annunciato la vendita di una nuova unità di Motopanfilo 37M, di cui avete curato interni e deck esterni.
Il 37M è stato presentato nel 2021 e ne sono già state vendute 10 unità. Noi abbiamo lavorato agli interni e agli arredi degli esterni, mentre il progetto è del cantiere Benetti e di Francesco Struglia. Il Motopanfilo 37M è stato fortemente indirizzato nel senso della memoria: il cantiere ci ha dato come input il desiderio di recuperare il fascino e l’eleganza dei motopanfili degli anni ’60, imbarcazioni nate proprio in casa Benetti. Fino a quel momento, infatti, non esistevano barche da crociera di quella dimensione, quelle che c’erano erano barche commerciali che qualche armatore aveva fatto convertire. A partire dalla richiesta del cantiere, con il 37M abbiamo voluto riportare l’immagine della barca nella nautica: oggi le imbarcazioni a motore sembrano ville, hanno perso quasi totalmente le caratteristiche nautiche, invece secondo noi è importante riportare un linguaggio nautico.
Per Benetti, 25 anni fa, abbiamo progettato il Sai Ram (un 52 metri, ndr), la prima barca in assoluto con gli interni che ricordavano quelli di una residenza privata piuttosto che di una barca. Al tempo il concetto era rivoluzionario, ma attualmente è stato largamente recepito e applicato; quindi, per noi adesso è opportuno sovvertirlo e riportare in chiave contemporanea e minimale le caratteristiche nautiche.
Sul 37M abbiamo recuperato, ad esempio, i bagli, che scandiscono gli spazi e diventano caratteristici di tutta la barca, e nelle cabine del lower deck abbiamo deciso di tenere le murate inclinate, un altro aspetto che fa sentire di essere in barca. È interessante che nel 37M abbiate sovvertito la tendenza degli interni “da villa”: la vendita di un’altra unità denota la volontà di ritrovare la barca in barca, in controtendenza con il mercato.
Tendiamo sempre a diversificare i prodotti. Attualmente esiste un mercato così ampio da permettere l’esistenza di operatori che seguono l’onda, le mode e le tendenze, ma anche di altri che sono attenti a creare qualcosa di innovativo. Oggi, paradossalmente, tornare a una cifra nautica per gli interni delle barche è quasi rivoluzionario, non tanto nostalgico. Rivolgere la nostra attenzione a questo nuovo tipo di progettazione, ovviamente rivista con un linguaggio contemporaneo, è secondo noi la scelta più corretta.
Lo studio Lazzarini Pickering Architetti è attivo in moltissimi ambiti. Qual è il settore che vi stimola di più?
Non abbiamo un settore prediletto, anzi preferiamo lavorare contemporaneamente in ambiti molto diversi. Attualmente siamo su lavori che spaziano dall’architettura alla nautica, al design. Gli ultimi progetti sono legati anche alla dimensione paesaggistica: ci stiamo occupando di due ampie proprietà che sono grandi realtà agricole, da progettare sia nella parte delle colture che in quella architettonica, in parallelo; quindi c’è una fusione tra progetto paesaggistico e architettonico estremamente interessante. Ci siamo sempre occupati anche di giardini, perché li riteniamo fortemente integrati nell’architettura delle case. In questo caso, la dimensione delle proprietà determina una collaborazione seria con uno studio di paesaggistica, che rende ulteriormente complesso il livello di progettazione. Questa al momento è una nuova esperienza interessante e, ancora una volta, una fortunata occasione di ricerca.
Per i nuovi progetti, invece, cosa ha in cantiere Lazzarini Pickering Architetti per il prossimo futuro?
Attualmente siamo in Grecia per seguire il cantiere di una villa nell’isola di Meganisi, un progetto bellissimo perché è una villa con il giardino che arriva direttamente sul mare: questa caratteristica di essere “pieds dans l’eau” la rende speciale. Anche in questo caso, la villa si integra fortemente con le scelte paesaggistiche. La stiamo progettando come una villa ipogea, che però mantiene una quantità di luce e di aria estremamente interessante, grazie ai patii interni che ne garantiscono l’ingresso da entrambi i fronti della casa.
Nella nautica, il progetto a cui stiamo lavorando è il Motopanfilo 45M, sempre per Benetti. Noi di Lazzarini Pickering Architetti ci stiamo occupando degli interni, mentre gli esterni sono stati affidati allo studio RWD. Per questo nuovo modello rimangono le stesse volontà del 37M, quindi spazi ampi, importanti e fluidi, ma al tempo stesso marini e nautici. La caratteristica principale nasce da un’intuizione dei progettisti dello scafo: il salone del main deck è completamente apribile, sia lungo le murate sia di fronte sul deck esterno, raddoppiando così la dimensione della vita all’aperto e adottando una soluzione inedita e innovativa. Con tutta una serie di ricadute, come la volontà di mantenere una continuità tra interno ed esterno anche in termini di materiali e arredi. Questa è la nuova scommessa su cui stiamo puntando.
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