Nautica italiana fra alti, bassi e scossoni epocali
Per chi, come il sottoscritto, opera nella nautica da più di qualche anno, non è una novità che – periodicamente – si assista ad un andamento ondivago e altalenante degli eventi che influenzano sensibilmente il mercato.
Si sono vissute stagioni in cui il diporto sembrava appannaggio veramente di poche persone ed altre in cui – complici soprattutto le agevolazioni economiche che favorivano l’acquisto dei natanti – avere una imbarcazione era diventato uno status comune ad una moltitudine di persone senza precedenti.
Nei primissimi anni dopo il 2000, con l’avvento di tecnologie innovative e una buona spinta economica, l’industria nautica fece un altro balzo in avanti. I cantieri, anche i più piccoli, cercavano di sviluppare i propri processi produttivi a fronte di richieste di mercato sempre più invoglianti, che inducevano gli operatori del settore a spingere l’acceleratore sul pedale dell’industrializzazione di prodotto e su quella di processo.
Si delineavano, in quegli anni, due tipologie di costruttori nautici: cantieri che producevano in serie imbarcazioni al di sotto dei 15 metri e cantieri che, invece, puntavano alla costruzione di un numero minore di imbarcazioni ma sempre più grosse, comode e lussuose.
Una favola che personalmente ho vissuto e che – in quegli anni – portò a credere che la nautica italiana fosse davvero un colosso industriale all’interno del quale chi operava era davvero un privilegiato.
Un settore industriale, non c’è che dire, veramente entusiasmante che produceva beni esclusivi, come le barche, che iniziavano ad avere – nonostante la loro “non indispensabilità” – una larga diffusione come mai si sarebbe immaginato nell’ultimo quarto dello scorso secolo.
Questa bella storia andò avanti per un discreto numero di anni. Gli imprenditori e le aziende nautiche investivano, ampliavano i reparti produttivi, raddoppiavano gli stabilimenti e le capacità produttive, creavano impianti di riscaldamento per lavorare le resine alle temperature ottimali e impianti di raffrescamento per poter operare nei caldi mesi estivi dell’anno, assumevano personale sempre più specializzato… Insomma: grandi investimenti sotto ogni punto di vista.
La nautica, con particolare riferimento al nostro Paese, dove è da tempo orgoglioso vessillo del Made in Italy, sembrava il “Re Mida” dei settori industriali: chiunque avesse la possibilità e la passione ambiva ad investire in un settore dalle potenzialità apparentemente infinite.
Tutto questo fino ad un brutto giorno in cui ci si risvegliò in un mondo che improvvisamente (questa la sensazione comune alla maggioranza di persone, sebbene analisti ed economisti attenti avessero lanciato diversi appelli negli anni precedenti) era in crisi!
La Grande Recessione, che iniziò nel 2007 a seguito dello scoppio di una bolla immobiliare negli USA e che durò ufficialmente fino al 2013 (con strascichi anche negli anni successivi), innescò una crisi economica mondiale, che nel 2009 raggiunse il suo apice e si manifestò al mondo con tutta la sua dirompente potenza, tanto da passare alla storia come la peggiore recessione dal lontano 1929.
Conseguentemente, come molti sanno, si aprì una profondissima crisi che – naturalmente – investì prepotentemente anche la nautica, quel mondo dorato che piaceva ormai a tutti in maniera trasversale…
La sinusoide iniziò a percorrere il suo ramo discendente e la nautica mondiale (e soprattutto quella italiana) si trovò ad affrontare una crisi mai vista prima, invertendo un trend di crescita che fino a quel momento era stato veramente strabiliante.
Seguirono tempi duri per gli addetti del settore e per gli amanti delle imbarcazioni. Qualche anno ancora dopo, alcune misure del Governo scoraggiarono ulteriormente gli armatori e di conseguenza incrinarono ulteriormente un comparto che, dai fasti di qualche anno prima, era passato ad una durissima quanto deprimente crisi.
Tutto questo durò per diversi anni durante i quali, nonostante tutto, coraggiosi imprenditori, nuovi e vecchi cantieri continuavano a credere nella forza del settore, stringendo i denti in maniera quasi eroica, portando avanti i propri progetti, difendendo i propri dipendenti e affrontando a muso duro quella terribile tempesta.
I più temerari, ma al contempo i più lungimiranti, non si fecero scoraggiare dalle particolari condizioni storiche e decisero, contro intuitivamente e destando la meraviglia di molti, di investire proprio in quel momento storico ancora una volta nella nautica italiana, fondando nuovi marchi e realizzando innovativi progetti.
A distanza di un decennio, dobbiamo riconoscere che a quei temerari venne data ragione, perché man mano, giorno dopo giorno, si ricominciò a vedere la luce in fondo al tunnel e finalmente ad uscirne con rinnovato entusiasmo e imbarcazioni divenute più belle, originali e tecnologiche per far fronte alla crisi.
Alla luce di quello che abbiamo vissuto, pertanto, non ritengo che la sciagura che ha colpito il mondo nel 2020 possa annichilire il nostro settore.
Certamente, gli ultimi due mesi non sono passati inosservati per i cantieri nautici.
Il lockdown globale ha impedito la produzione. Abbiamo responsabilmente lasciato che fossero le aziende alimentari e le professioni sanitarie a continuare a lavorare…
Come l’hashtag #iorestoacasa, tutti i cantieri hanno temporaneamente “abbassato le serrande”, nonostante il periodo fosse il più importante dell’anno.
Chi non è del settore probabilmente ignora che i mesi primaverili rappresentano il momento clou di ogni cantiere nautico, che deve predisporre tutto affinché le barche possano essere varate entro i mesi estivi.
Chi non è del settore presumibilmente non sa che fermare i cantieri nautici nei mesi di marzo e aprile può compromettere un’intera stagione produttiva, con ripercussioni ben più gravi di quel famoso 20% di riduzione del fatturato di cui tanto si è sentito parlare…
Chi non è del settore sicuramente non sa che – con le giuste misure di sicurezza – magari i cantieri avrebbero potuto continuare ad operare cercando di non pregiudicare una stagione.
Molto spesso, però, trovare una soluzione non è semplice, per cui – automaticamente e forse un po’ semplicisticamente – si adotta il provvedimento più facile.
Io, purtroppo, sono un ingegnere e continuo a pensare che non esistano problemi irrisolvibili, ma solo “soluzioni non ancora trovate”.
Ma che volete farci? E’ una semplice deformazione professionale!
Ad ogni modo, nel momento in cui sto scrivendo l’articolo la nautica italiana sta ripartendo. Con molta fatica e grandissimo sforzo, perché fermare un motore in piena corsa, spegnerlo per due mesi e poi pretendere di ripartire con lo stesso numero di giri è quasi impossibile…
Ho detto “quasi”?
Eh sì: ho detto proprio quasi. Quasi impossibile. Perché è in quel “quasi” che la nautica italiana farà la differenza. In quell’avverbio di cinque lettere che dà il senso di qualcosa che non è compiuto, non definito. Perché sono convinto che ancora una volta la nautica italiana saprà fare di necessità virtù, sfruttando al meglio l’occasione. Cercando soluzioni a problemi che altri non hanno avuto la forza o la capacità di cercare.
Sono convinto che siamo davanti ad un nuovo punto zero da cui ripartire. E cosa c’è di meglio che ripartire, quando a farlo è un settore industriale capace di risollevarsi ogni volta da crisi, sciagure e virulenze epocali?
La nautica italiana non si fermerà. Remerà contro le avversità del momento attuale, come ha fatto in passato e come saprà fare in futuro.
Noi italiani siamo artisti del mare e le nostre barche continueranno ad affollare e a farsi ammirare nei mari di tutto il mondo.