NavalHEAD: il piacere di andar per mare
Scie, idrodinamica, ecosostenibilità, innovazione: NavalHEAD è tutto questo e molto altro. Ce lo racconta con entusiasmo il suo fondatore: l’Ing. Andrea Agrusta che, tra un progetto e l’altro, trova il tempo di parlarci della sua passione e del futuro della nautica.
Lo studio NavalHEAD oggi conta otto professionisti che lavorano a ritmo incalzante su progettazione e ingegnerizzazione di “barche grandi e piccole, lente e veloci” e annovera tra le sue collaborazioni nomi molto importanti del settore, come Dominator, Sanlorenzo, Ocean Alexander e Maori Yacht.
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Andrea, come nasce la tua passione per questo lavoro e come sei arrivato quindi ad aprire lo studio NavalHEAD?
«La mia passione nasce sin dall’infanzia. Andavo per mare da bambino con la mia famiglia e la mia prima barca è arrivata all’età di 10 anni. Poi ho continuato con la barca a vela, il surf e alcuni motoscafi. Cercavo sempre di capire qual era la connessione tra la barca e la scia. Mi sono appassionato tantissimo alle scie, tanto che ho deciso di approfondirle studiando ingegneria navale. Durante gli studi universitari ho iniziato a lavorare come progettista in diversi studi, ad esempio per Fincantieri e per lo Studio Starkel. Ora sono esattamente 17 anni che faccio questo mestiere. Pian piano mi è cresciuta la voglia di mettermi in proprio, di coltivare i miei sogni: è così che nel 2010 ho aperto NavalHEAD. Nei primi anni non è stato semplice, ma oggi fortunatamente abbiamo un ottimo posizionamento nel mercato e siamo tra i principali player nel mercato globale di ingegneria navale e architettura navale».
Raccontaci di più della tua grande passione, le scie.
«Abbiamo fatto della progettazione idrodinamica il nostro core business. Tutto quello che progettiamo noi parte dall’idrodinamica, dall’interazione della barca con l’acqua. È il punto di partenza in assoluto. La barca naviga e, in base a come naviga, crea una certa scia. Quindi, se sei in grado di decidere che scia vuoi che generi la tua barca prima ancora di progettarla, hai vinto: stai già immaginando che velocità raggiunge, quanto deve consumare, quanto deve pesare o come deve comportarsi in mare. La marinità è la base: non esiste un progetto NavalHEAD in cui gli spazi, l’estetica o qualsiasi altro vincolo abbiano la priorità rispetto all’andare bene per mare. È questo il filo comune che lega le oltre 300 barche che abbiamo messo in acqua in 12 anni e spero anche negli anni futuri: la tenuta al mare, la manovrabilità e il piacere di navigare. L’idrodinamica sopra ogni altra cosa».
Grandi nomi e tanti anni di esperienza alle spalle, ma dovendo scegliere, esiste un progetto a cui sei rimasto particolarmente affezionato?
«Difficile risponderti, ogni progetto ha il suo perché, la sua storia, le sue lacrime e le sue soddisfazioni. Non riesco a sceglierne uno, sono il papà di tutti».
Negli anni, tra gli armatori, cantieri e aziende con le quali avete lavorato, qual è stato il confronto più stimolante? Quello da cui è nata un’idea “importante”?
«I progetti che considero un po’ delle pietre miliari, nonostante siano passati diversi anni, sono due. Il primo è sicuramente il sommergibile da diporto del 2013, altamente innovativo per quel tempo. Ci ha fatto studiare moltissimo idrodinamica, aerodinamica, stabilità e propulsione elettrica. Tutti concetti che in quegli anni erano fortemente all’avanguardia, a differenza di oggi, che possono considerarsi la nostra quotidianità.
Il secondo, invece, è il Dominator Ilumen 28M: fu un progetto così complesso e un concentrato di tecnologia così elevato, che ancora oggi è ritenuto innovativo ed è fonte di ispirazione per noi e per i nostri competitor. Considera che il progetto è nato tra il 2013 e il 2014, la prima barca ha visto la luce nel 2017, e noi avevamo studiato un nuovo, particolare bulbo a lama di coltello, che aveva la funzione di migliorare la tenuta di mare e quindi anche le prestazioni. Oggi, se ci si guarda intorno, il bulbo a lama ce l’hanno tantissime imbarcazioni, anche cantieri importanti hanno seguito questa scia. Possiamo dire di esserne stati i pionieri, in un certo senso».
Quanto è difficile e come riuscite a far combaciare la parte ingegneristica con la parte creativa?
«È molto complesso. L’ingegneria impone una serie di vincoli, regole tecniche e normative, mentre il processo di progettazione dell’imbarcazione è tutt’altro. Devi riuscire ad incastrare il sogno del cliente con gli elementi che devono essere assolutamente a bordo, con le idee degli architetti di interni e poi far quadrare il tutto con qualcosa di funzionale. È abbastanza paradossale e non funziona sempre questo incastro, ma quando funziona è da 10 e lode».
Avete mai ricevuto richieste molto particolari?
«In realtà moltissime. Alcune fattibili, altre decisamente meno. Passiamo dal fondo della barca totalmente in vetro per guardare il fondo del mare, ad imbarcazioni completamente vetrate o con forme non completamente convenzionali, cioè barche che non sembrano barche. Stiamo realizzando per un cliente, proprio in questo periodo, un’unità ricettiva galleggiante che ha la forma di una villa. È una nave che farà dei servizi ricettivi di vario tipo, quindi stiamo cercando di coniugare un’esigenza non propriamente “nautica” con l’oggetto barca che invece rimane tale».
Hai da poco contribuito all’ingegneria tecnica del superyacht da 110 m di Gabriele Teruzzi. Ci puoi dire di più di questa imbarcazione?
«Per Stella Del Sud abbiamo curato l’architettura navale e studiato una carena dislocante veloce, molto performante, con bulbo a lama per l’appunto, in grado di garantire prestazioni importanti con consumi estremamente ridotti. Per queste imbarcazioni dalla taglia notevole è, per assurdo, più semplice offrire un pacchetto di contenuti tecnici di rilievo. È più complesso quando devi tradurre gli stessi concetti su unità più piccole. Più grande è la barca e più è facile».
Come sarà la barca del futuro secondo te e in quale direzione sta andando la nautica?
«Per risponderti partirei da quello che è successo negli ultimi 10-15 anni, quando la nautica ha visto una brutale virata del mercato e siamo passati da motoscafi, grandi motoscafi e barche veloci, ad una riduzione della velocità con un aumento notevole degli spazi. La barca di oggi va molto più piano, ma offre tutti i comfort possibili, proprio come una villa sul mare. Dove andiamo domani? Secondo me, ci sarà un ritorno verso la marinità. L’armatore di oggi vuole lo spazio e il comfort di una villa in acqua, ma torna a chiedere una barca un po’ più veloce, che sappia navigare bene e non una barca bella da tenere in banchina e basta. Quindi immagino, in futuro, un ritorno verso la navigazione. Chiaramente non come negli anni Novanta, con barche molto veloci e motori enormi, ma una barca “rivisitata”, in modo che si riappropri delle sue caratteristiche peculiari per il piacere di navigare, e più ecosostenibile».
A proposito di ecosostenibilità, cosa ci puoi raccontare?
«Da moltissimi anni ormai siamo impegnati a trasformare la barca in un oggetto il più sostenibile possibile. Senza promettere cose irrealizzabili, ma anno dopo anno stiamo facendo passi importanti nella scelta dei materiali ecosostenibili e soprattutto nella riduzione dei pesi. L’utilizzo di meno materie, qualunque esse siano, comporta una riduzione imponente dei consumi, qualunque cosa tu stia consumando. L’ecologia non passa necessariamente dall’elettrico, ma passa da quanto consumi. Questo, secondo me, è progettare e costruire un’imbarcazione etica ed ecologica ed è poi quello che facciamo su tutti i nostri progetti».
State lavorando ad altri progetti, ci puoi anticipare qualcosa?
«Stiamo lavorando su molti progetti. Abbiamo appena varato un Maori da 125 piedi: una navetta semidislocante molto innovativa, progettata da noi con esterni di Marco Ciampa e interni di Alessandro Pulina, che farà il suo debutto mondiale al Salone di Monaco di quest’anno. Per la stessa Maori stiamo riprogettando tutta una gamma di imbarcazioni veloci fuoribordo, da 46 a 64 piedi. Poi, per Ocean Alexander, stiamo progettando una nuova gamma di maxiyacht fino a 50 metri e in questo momento è uno dei nostri lavori più importanti. Con un cantiere sloveno, nonché nostro cliente storico, Alfastreet, stiamo lavorando su una gamma di imbarcazioni plananti da 23 a 32 piedi e delle full electric dislocanti delle stesse misure. Inoltre, stiamo facendo delle consulenze ingegneristiche per Maiora – AB Yacht, di Viareggio e stiamo progettando una linea di barche piccole da diporto con il cantiere Calibro: delle 21-32 piedi che chiamiamo easy use, adatte a chi inizia ad avvicinarsi alla nautica. Infine, come ci occupiamo dell’idrodinamica, ci occupiamo anche di tutte le altre problematiche, credendo sempre nella necessità di vivere e godersi la barca al meglio. E così abbiamo iniziato anche una partnership con HTS e Coistar, due aziende che si occupano di soluzioni termoacustiche, per rendere la navigazione piacevole anche dal punto di vista dell’acustica e delle temperature. In questo momento, ma un po’ come abbiamo sempre lavorato negli anni, passiamo dalla barca piccola alla grande, dalla lenta alla veloce, dall’elettrico al non e così via».
Che consiglio daresti a chi intende intraprendere questo mestiere?
«Di non demordere, perché è difficile. Di insistere, di guardare gli altri, di studiare, di aggiornarsi, di non avere paura di sbagliare e di avere l’umiltà di cambiare rotta quando necessario. Ma soprattutto, di credere nei propri sogni».
STELLA DEL SUD Lo studio italiano Gabriele Teruzzi Yachts & Design ha svelato i rendering del nuovo concept di un superyacht da 110 metri: Stella Del Sud. |
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