Prede inaspettate
In tempi di pandemia non è così facile andare a pesca soprattutto se si vive in una delle regioni a colori più “sgargianti”. Essendo però la mia regione, la Liguria, comunque in zona gialla, decido di programmare una pescata a bolentino di profondità, complice una strana alta pressione autunnale che regala diverse giornate di mare completamente piatto.
Quindi tiro fuori l’attrezzatura, preparo le canne, verifico ami e terminali e acquisto le esche. Tutto pronto per il giorno seguente. E no, il giorno seguente la Liguria passa in area arancione e quindi tutto annullato a data da destinarsi; peccato perché mi sentivo fortunato. E così via di corsa verso il magazzino per mettere nel congelatore le esche, riporre canne e attrezzatura da tirare fuori chissà quando. La situazione pandemica migliora decisamente e dopo quindici giorni la mia regione torna ad essere in livello di criticità bassa e, caso vuole, dal giorno in cui siamo tutti “quasi” liberi un bel vento di scirocco spira a più non posso rendendo vano ogni tentativo di uscita dal porto.
Finalmente a pesca
Passano alcuni giorni e finalmente torna a ripresentarsi una finestra di sole: è il momento giusto, non si può rimandare ancora. Un’occhiata all’agenda, qualche appuntamento rimandato e alle sei del mattino sono già in barca pronto con le chiavi in mano. Accendo il mio Humminbird Helix 12, imposto la rotta e velocemente disormeggio ed esco dal porto, carico di adrenalina come se dovessi affrontare un mostro marino, anche se le mie aspettative non erano così alte.
L’arrivo sulla zona di pesca
In poco più di quaranta minuti sono sullo spot e solitamente, un miglio prima di raggiungerlo, comincio a ridurre la velocità e accendere il pilota automatico per farmi trasportare lentamente verso lo spot mentre preparo le canne in modo che una volta giunti sulla verticale del punto, calo il motore elettrico Minn Kota, attivo la funzione “ancora” e lascio andare immediatamente le lenze in acqua per non perdere nemmeno un secondo di questa fantastica ma corta giornata invernale. Le prime calate vanno a vuoto, così decido di spostarmi su uno spot presente in un secondo costone che nelle passate spedizioni ha regalato diverse catture di occhioni, qualcuno anche di buona taglia.
E’ ora di calare la canna
Calo e subito percepisco delle toccate sulla mia Trabucco Heraklion 500 abbinata ad un mulinello elettrico Daiwa Tanacom 1000 caricato con 1000 metri di multifibra, neanche così spessa, visto che il target sono gli occhioni e qualche nasello. Anche le montature sono light: madre dello 0,70 e finali dello 0,50 con ami dedicati dell’1, questo per poter innescare comodamente anche un solo pezzo di sardina o un piccolo totanetto, esche molto apprezzate dagli occhioni. Passano i minuti e si susseguono salita e discesa dei terminali ma di pesci di taglia nemmeno l’ombra. Solo tanti occhioni al limite della misura minima che vengono prontamente rilasciati poiché, oltre che ad essere vietati, riescono a riguadagnare il fondo molto facilmente rispetto ad altre prede che soffrono del cambio di pressione dovuto alla repentina risalita dal fondo. Pensando di aver a che fare con pesci particolarmente intelligenti, dato che vengo ripetutamente spazzolato delle esche senza quasi accorgermene, decido di fare una calata ma di tenere la canna in mano tentando così una ferrata più decisa.
Come il piombo tocca il fondo, lascio andare ancora un paio di metri, poi chiudo il mulinello e attendo. Sul vettino della canna percepisco diverse beccate così, alla terza, decido di ferrare, ma nulla. Attendo ancora qualche istante e poi do una generosa ferrata, ma questa volta la canna non si muove come al solito rimanendo piantata come se la lenza fosse incagliata sul fondo. Ma non è così, perché un istante dopo percepisco delle testate incredibili che quasi non riescono a farmi rimettere la canna nel porta canne per poter azionare il mulinello, a cui do tutta forza appena ho la canna nel suo supporto. Comincia la lenta risalita da quasi 400 metri con testate percepite sulla canna al limite della sua forza. E’ una canna adatta a tutt’altre prede, mai avrei immaginato di metterla alla prova con una preda di quella forza e devo costatare con piacere che ha superato ogni mia aspettativa.
Cosa avrà abboccato?
Risalire con una preda del genere da 400 metri non è proprio un attimo e, tra un tirone e l’altro, cerco di immaginare che cosa possa essere. Ovviamente il mio pensiero va alla cernia ma quando mancavano ormai solo poco più di 50 metri dalla superficie la cernia avrebbe smesso di tirare per risalire insieme alla lenza a causa del rigonfiamento dovuto alla pressione. E invece, anche a venti metri dalla barca quel bestione continua a far sussultare la canna. Guadino e raffio erano già pronti e tra me e me pensavo che queste super catture capitano sempre quando si è in solitaria e non si riesce così a scattare foto come si deve.
Come tirarlo in barca
Arriva il pesce sotto la barca, si tratta di un grongo in tutta la sua maestosità, nella risalita si era aggrovigliato anche all’altra lenza così oltre a lui e a tutti gli ami, si è portato su anche due chili di piombo. Devo ammettere che ho una certa esperienza con la pesca ai gronghi su relitto e la stazza non mi impressiona più di tanto così, con un colpo deciso di raffio lo blocco (si fa per dire) e tento di tirarlo a bordo. Ci provo una prima volta senza riuscirci perché il pesce si dimenava come un forsennato, ma al secondo tentativo lo faccio scivolare nel pozzetto dove comincia la battaglia. Ami che saltano a destra e sinistra, codate dappertutto, insomma, non ne voleva sapere di arrendersi. Appendo il raffio al T-Top così, rimanendo rialzato, riesco a farlo stare abbastanza calmo e, sorpreso, mi soffermo a capire come avevo potuto tirare fuori una bestia del genere con una sottile montatura da occhioni. Ebbene, la ferrata con la canna in mano non ha dato il tempo al grongo di ingoiare che così ha visto conficcarsi un amo nel labbro esterno, rendendo vano ogni tentativo di fuga o di lacerazione del terminale.
La cattura inaspettata
L’ago della bilancia si è fermato a ben 25 chili e 250 grammi e, una volta a casa, devo dire che mi ha reso la vita complicata anche per pulirlo a dovere, dividerlo in tranci e metterlo via.
E’ stato poi parzialmente mangiato dai membri della famiglia cucinato in ogni modo: in umido, fritto, al cartoccio e devo ammettere che il gusto è davvero buono. Alla data di creazione di questo articolo ne ho ancora diversi chili nel congelatore!
Tuttavia, ad essere sincero, qualora mi capitasse una seconda occasione di catturare un esemplare così grande, lo rilascerei dopo la foto di rito. Dopo aver richiesto informazioni a diversi biologi, infatti, ho scoperto che quel biscione aveva almeno vent’anni e, se è arrivato sano a quell’età e si è fatto catturare in un modo così banale, forse una seconda possibilità se la meritava tutta!