Il registro d’iscrizione: scelte, miti e opportunità per gli armatori
Quando si parla di bandiera (o, più propriamente, di registro d’iscrizione) soprattutto nel mondo dello yachting, è evidente che il tema abbia connotazioni di varia natura, che spaziano dal pregiudizio verso il diportista a fenomeni d’attualità come il cosiddetto “flagging out”, fino a scelte operative legate a esigenze assicurative, finanziarie (come nel caso del leasing) o di esercizio (attività commerciale). In questo senso, la scelta della bandiera, sia essa “pura” o commerciale, ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un argomento che non dovrebbe essere considerato di secondaria importanza per l’armatore e non solo.
L’articolo di questo mese vuole fornire un’introduzione su questo tema, cercando di illustrare al lettore quali risvolti e impatti può avere la scelta del registro d’iscrizione sulla propria unità.
Innanzitutto, è opportuno sfatare il mito che vede la scelta di una bandiera, magari estera, come un espediente di mera elusione fiscale o, più banalmente, come uno strumento per evitare costi di natura tecnica (ad esempio, il certificato di sicurezza previsto dal nostro registro d’iscrizione nazionale). Senz’altro, la questione è molto più ampia e articolata, come avremo modo di appurare tra poco.
Analizzando taluni principi di economia marittima e diritto marittimo applicato, è indubbio che la scelta della bandiera è frutto di trasversali valutazioni che l’armatore (o chi per lui) dovrebbe prendere in considerazione. Vediamone alcune:
• Condizioni contrattuali propedeutiche per accedere a mutui o leasing navali;
• Impossibilità o gravi criticità di registrazione e/o di natura doganale dovute a parametri tecnico-amministrativi o certificativi;
• Sostenibilità della gestione tecnico-operativa per le unità commerciali;
• Usi “promiscui”, ovvero utilizzi privati e commerciali;
• Valore come “garanzia” a fini bancari e/o ipotecari;
• Riconoscibilità internazionale, utile magari in caso di compravendita o per utilizzi e navigazioni internazionali;
• Gradimento da parte di assicuratori o P&I Club;
• Efficienza e affidabilità del registro nelle attività di compravendita, cambio di proprietà, gestione sinistri o nell’applicazione di normative di settore, nazionali e internazionali.
Già dagli aspetti sopra elencati appare dunque evidente come la bandiera possa avere, nella sua reale complessità, un impatto di non secondaria importanza nella gestione o nel mantenimento del mezzo nei suoi cicli di vita operativi.
Naturalmente, vi sono anche riflessi di natura economica che però non sempre mirano all’economicità o al mero risparmio per l’armatore o il proprietario. Sebbene sia possibile razionalizzare taluni costi “indiretti” (rispetto alla mera registrazione e al suo mantenimento), non si può certo affermare che la scelta di un registro comporti sempre costi inferiori rispetto al proprio registro nazionale, come nel caso della nostra bandiera italiana.
Infatti, vale la pena sfatare un ulteriore falso mito, ovvero quello che vedrebbe il registro italiano come un emblematico esempio di assoluta antieconomicità, benché presenti purtroppo criticità oggettive e ataviche tuttora irrisolte.
IL REGISTRO D’ISCRIZIONE, UNA SCELTA DETTATA DALLE ESIGENZE DELL’ARMATORE
Fin qui, si è parlato dei vari aspetti che, in generale, dovrebbero indurre sia l’armatore, sia l’operatore incaricato di seguire una registrazione per quest’ultimo, a una riflessione critica circa la corretta individuazione della “migliore scelta” in tema di bandiera.
Ora, probabilmente, una domanda sorgerà spontanea: esiste una scelta ideale? Indicativamente, la risposta è un coscienzioso “No”.
Sebbene esistano registri di storica riconoscibilità e qualità, persino “orientati al cliente” (alcuni offrono oramai veri e propri servizi di concierge agli armatori), non è scontato che, economicamente e tecnicamente, la scelta possa sempre ricadere su una specifica soluzione. In particolare, è interessante notare che oggigiorno vi sono addirittura registri più indicati per le unità a vela o a motore, per quelle non marcate CE, per le unità storiche (magari in legno), per il charter, per il noleggio a scafo nudo (in patria definito “locazione”) e persino per il trasporto merci con unità da diporto o costruzioni al di sotto dei 24 metri, a motore o a vela.
Ancora, alcuni registri possono offrire, nella piena legalità internazionale, utilizzi commerciali assai più ampi rispetto a quelli previsti dal nostro ordinamento o politiche che agevolano (con reali sgravi) l’assunzione e il mantenimento di un equipaggio o che prevedono iter certificativi meno restrittivi dedicati a unità storiche o autocostruzioni.
È chiaro che molti più elementi di valutazione spettino a chi esercita (o voglia esercitare) un’attività commerciale, ma anche chi possiede un’unità “pleasure”, nuova, storica o comunque di elevato valore economico, deve comunque svolgere un minimo approfondimento e una valutazione preliminare dei possibili registri.
Che dire dei numeri? Quanta è, per così dire, la “scelta”?
Anche in questo caso, vi sono dati di singolare interesse. Al netto delle soluzioni di dubbia serietà, che nel recente passato hanno prodotto conseguenze assai poco gradevoli per le amministrazioni europee, i registri, anche di qualità, sono tutt’altro che assenti. Paesi come la Svizzera possono avere, nei limiti delle loro caratteristiche e peculiarità, elementi di oggettiva serietà. Solo in Europa centro-occidentale, possiamo pacificamente contare almeno una decina di amministrazioni marittime con un registro dedicato allo yachting, commerciale e puro, capaci di risolvere le fisiologiche criticità che spesso l’armatore è chiamato ad affrontare con la propria unità.
In conclusione, una valutazione critica e ben ponderata sulla scelta della bandiera a volte può rappresentare una parte essenziale della vita operativa del mezzo, con tutte le inevitabili influenze di natura economica, amministrativa e tecnica, al netto del reale tipo di utilizzo.