Tenya Fishing: una tecnica ritrovata
La pesca sportiva è un mondo davvero particolare che, per alcuni versi, può essere paragonato al mondo della moda. Se alcune tecniche sono sempre in voga, altre a volte sembrano finire nel dimenticatoio, ma ciclicamente ritornano in auge, regalando quelle emozioni spesso relegate nel cassetto dei ricordi. Ed è proprio il caso del tenya fishing, che ha avuto una fase di grande interesse nei primi anni Duemila, per poi lasciare spazio a tutte le altre tecniche verticali, come l’inchiku e lo slow pitch jigging. Anche io da poco ho riscoperto questa tecnica, che si rivela davvero semplice da eseguire ed estremamente redditizia.
COME SI PRATICA
Il tenya fishing è una costola del vertical jigging, ma vede l’utilizzo di un’esca artificiale abbinata ad un’esca naturale. Questo connubio innesca un mix davvero interessante verso i pesci che stazionano sul fondo, attirando spesso anche i predatori più sospettosi. Le esche sono principalmente piombi colorati con un amo di generose dimensioni all’interno, mentre, unito ad un occhiello, troviamo l’assist, uno spezzone di filo (spesso in trecciato) collegato con un altro amo di dimensioni più piccole che completa l’esca.
Il tenya viene spesso innescato con il gambero, ma se vogliamo avere la speranza di attirare qualche predatore più grosso dovremo calibrare l’esca in base ai gusti di quest’ultimo.
La canna sarà un modello dedicato o anche da slow pitch jigging e il mulinello, possibilmente rotante, caricato con multifibra di diametro adeguato ai pesci che vorremo insidiare. In ultimo, alcuni metri di shock leader in fluorocarbon, scelto anch’esso in funzione dello spot che affronteremo: se la nostra idea è quella di dedicarci ai pagelli o grufolatori di fango, potremo tenerci su diametri esigui, ma se vogliamo provare a stanare qualche pescione su scogliera o grotto, allora dovremo aumentare il diametro per avere una chance quando il pesce allamato tenderà a sfregare il filo sulle rocce.
UNA TECNICA RITROVATA
Il tenya fishing mi ha sempre dato soddisfazioni, sia quando ho cercato i pesci di fango come pagelli e affini, sia quando mi sono avvicinato alle scogliere profonde catturando scorfani e musdee. Poi, però, il minor tempo a disposizione e la voglia di sperimentare nuove tecniche mi hanno portato a “dimenticare” questa pesca così particolare e affascinante.
Ho ancora in magazzino la prima canna usata per questa tecnica: una Italcanna Jigging Light abbinata ad un mulinello rotante di dimensioni contenute, ma dagli ingranaggi davvero potenti. La usavo un po’ per tutte le tecniche verticali, dal kabura all’inchiku fino al tenya fishing, e devo dire che mi ha sempre entusiasmato. Poi, non so il motivo esatto, è rimasta riposta nel suo astuccio fino a qualche giorno fa, quando un amico mi ha proposto di riprovare questa tecnica, mentre lui tentava di far scendere verso il fondo un paio di blatte con la sua nuova canna Shimano, dedicata allo slow jigging, con un mulinello Shimano Ocea Jigger 1500, un vero concentrato di bellezza e potenza.
UNA GIORNATA DA INCORNICIARE
Ci siamo diretti verso quelli che erano stati i miei spot dell’epoca: scogli e zone di grotto compresi tra i 60 e i 100 metri, ideali per fare le prime calate e capire se la corrente permette di pescare. Quest’ultima gioca un ruolo fondamentale in quanto, per praticare con successo le tecniche verticali in generale, come dice il nome, è consigliabile che l’esca sia il più verticale possibile sotto la barca, in modo da essere manovrata a dovere. Nel caso del tenya fishing, però, anche un leggero scarroccio può influire positivamente sulla pescata poiché permetterà di scandagliare una fascia di fondale ben più ampia.
Abbiamo cominciato da uno scoglio sui 103 metri di fondo e la prima preda, come da tradizione ormai, è stata una perchia di taglia maxi, una di quelle di cui ormai se ne vedono poche. Abbiamo continuato a scandagliare la zona fin quando una bella toccata ci ha fatto vibrare la vetta e sognare quale preda avesse abboccato all’esca. Dopo aver tirato per alcuni metri, si è lasciata inesorabilmente trascinare verso la superficie e, con l’esperienza maturata negli anni, abbiamo subito capito che si trattava di un esemplare di scorfano rosso.
Il pesce aveva ingoiato totalmente l’esca e, complice l’apparato boccale davvero di grandi dimensioni, tutti e due gli ami si erano conficcati in bocca e sarebbe stato davvero difficile perderlo.
La giornata è proseguita veloce e ci siamo spostati da uno spot all’altro nella speranza di trovare qualche pesce di passo, magari un pagro o un bel sarago. Girovagando tra un punto e l’altro, siamo passati a velocità ridotta su una zona mai presa in considerazione e, con grande sorpresa, ci siamo accorti che presentava diversi scogli sparsi su un fondale che dai 70 metri scende verso gli 85 e oltre. Abbiamo deciso così di tentare questo spot e di scandagliarlo tutto; quindi, prima di cominciare a pescare, ci siamo messi davanti al display del sonar per tracciare una serie di waypoint che avrebbero delimitato tutta la zona interessante.
Una volta compresa la conformazione del fondale, abbiamo fatto un ulteriore passaggio con il sonar chirp per capire se ci fosse presenza di predatori sul fondo, ma non abbiamo percepito alcun segnale o marcatura interessante: solo un folto branco di probabili castagnole rosse, ammucchiate tutte in una zona dove probabilmente non c’era molta corrente.
Siamo partiti con una strategia di ricerca: uno innescava un bel totano intero, l’altro un gambero. Appena giunti sul fondo, ecco subito la prima perchia attratta dal facile pasto, e poi una seconda, una terza, una quarta… insomma un’infinità di perchie, sintomo che quello spot non era stato battuto da nessuno per diverso tempo.
Dopo qualche calata a vuoto, abbiamo catturato un primo scorfano di generose dimensioni, seguito da un secondo e un terzo esemplare. Siamo rimasti ad osservarli nella vasca del vivo riempita d’acqua ed erano davvero proprio belli, di un color rosso/arancione talmente acceso da essere quasi fluorescenti.
Dopo di loro, una fase di calma ci ha portato a spostarci con il motore elettrico in funzione “ancoraggio elettronico” per scandagliare l’altra parte della parete dello scoglio. Alcune calate a vuoto e poi una toccata davvero energica, terminata con il pesce slamato dopo alcuni secondi. Non molto tempo dopo, una seconda ferrata ha inchiodato un pesce che è partito per una fuga senza sosta e infatti, dopo alcuni metri, probabilmente sfregando su una roccia, ha rotto il finale, che non era proprio piccolissimo: parliamo di un buon fluorocarbon dello 0,52 mm.
Abbiamo deciso, quindi, di cambiare montatura e pescare con tenya più grandi e assist modificati, per innescare esche grandi come i totani interi.
Prima calata e una mangiata secca ci ha fatto pensare a un gran pesce, ma dopo nemmeno tre secondi il pesce si è slamato per allamarsi alcuni secondi più tardi. Questa volta il pesce si è allamato bene, ma ha messo subito in crisi la canna e il mulinello che, con la frizione quasi totalmente chiusa, ha concesso filo come se fosse sul “free spool”. Allora ho preso in mano la situazione per bloccare (o quantomeno rallentare) l’uscita di filo dal mulinello: se avesse toccato sulle rocce, si sarebbe lacerato e strappato in pochissimo tempo, ma fortunatamente questo non è accaduto.
Sono riuscito a recuperare alcuni metri di filo, ma un’altra partenza del pesce mi ha costretto a lasciarlo per alcuni secondi. La scena si è susseguita per alcuni minuti, anche se a me è parso un tempo infinito. Recuperavo cinque metri e se ne riprendeva due; è andata avanti così fino ad arrivare a cinque metri dalla superficie, quando abbiamo percepito che il pesce non tirava più come prima.
Nella nostra immaginazione abbiamo pensato a una miriade di pesci: “Sarà un grongo, una cernia o un super dentice?”. Il vedere il pesce sul display del sonar complicava ancor di più i nostri pensieri. Quando poi è arrivato in superficie, si è trasformato nell’inconfondibile sagoma della cernia bruna, una signora cernia che portata alla bilancia pesava poco più di 13 chilogrammi.
Una volta aggallato il pesce, complice la vescica natatoria che gonfiandosi non gli ha più permesso di nuotare, tutti avrebbero voluto afferrarlo, col guadino, con il raffio e con le mani, ed effettivamente, preso dall’euforia, l’amico Davide ha infilato subito una mano nella branchia: niente di più sbagliato in quanto un pesce di quelle dimensioni ha all’interno delle branchie un lungo reticolo di uncini che non permetto alle mani di uscire. Dopo un attimo di esitazione e facendo molta attenzione al pesce e alle mani del pescatore, siamo riusciti a liberarlo.
Quando ti rendi conto di avere a bordo una preda del genere, capisci che la giusta attrezzatura, un po’ di conoscenza e un pizzico di fortuna sono gli ingredienti per il successo di una battuta di pesca, che sia in mare o in acqua dolce.
E a questo punto… bentornato tenya fishing!